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Presepi nelle Grotte – Terza edizione a Statte

Oltre sei mesi di lavoro, ore sottratte al tempo libero e al sonno per dedicarsi ad una passione da tramandarsi di padre in figlio. Disegni, progetti, esperimenti, modifiche, ma alla fine la soddisfazione è tanta: a Statte (Taranto) si conferma il successo della manifestazione “Presepi nelle Grotte” organizzata dall’associazione “Vivere Betlemme”.

Sono 6 i locali nel centro storico di Statte, le “Grotte” appunto così chiamate perché alcune abitazioni sono state ricavate nei secoli direttamente nella roccia, che ospitano i presepi realizzati per questa occasione. Presepi in larga parte nuovi di zecca, perché la tradizione vuole che ogni anno si elabori una nuova interpretazione della natività, secondo i due stili più diffusi: la natività palestinese, che si sforza di ricostruire un contesto storico realistico quanto più verosimile rispetto alla nascita di Gesù, e la natività popolare, che invece presenta personaggi e ambienti tipici della tradizione contadina che difficilmente sarebbe stato possibile rinvenire a Betlemme nell’anno zero.

L’associazione “Vivere Betlemme” raccoglie otto maestri di questa antica arte: Pino Damasi, Filippo Provenzano, Mimino Marzii, Fabio Modeo, Piero Cecere, Domenico Rossano, Sergio Moscagiuri, Emanuele Lucarelli.

 

Babbo Natale non molla mai

babbonataleCome ogni anno con l’approssimarsi delle festività il quartiere si vestiva a festa per celebrare nel migliore dei modi il Natale. Sulle porte apparivano coroncine colorate di fiori e nastri, dalle finestre rilucevano candele e piccoli alberi addobbati, sui balconi apparivano festoni, babbi natale e luci varie.
Il vecchio Babbo Natale di stoffa e plastica ne aveva viste tante, di festività natalizie. A dire il vero da guardare per lui c’era poco, visto che se ne stava puntualmente di spalle a fingere l’arrampicata presso il tubo di scarico dell’acqua pluviale, ma era sempre contento dei bambini che lo indicavano ridacchianti, sempre meno ingenui però e sempre più disattenti. Ormai il suo rosso era diventato un grigio sbilenco a causa della polvere che gli si era accumulata addosso e il sacco sulla schiena era scucito in più punti, ma lui testardamente affrontava quella scalata immaginaria a cui veniva chiamato ogni dicembre.
Quell’anno però l’attenzione dei bambini era contesa da nuove attrazioni. Una nuova spettacolare serie di luci led si avvinghiava al balcone con un set di giochi di luce intermittenti, a ritmo di rock, di salsa cubana e persino di musica italiana (quest’ultima facile da individuare: acceso, spento, acceso, spento). Le lucine lo guardavano dall’alto in basso mormorando a bassa voce che era ora di rimuoverlo, era ormai superato e doveva farsi da parte perché faceva fare loro brutta figura.
Come se non bastasse questa umiliazione, da pochi giorni sulla veranda di fronte era apparsa una nuova figura: un enorme, gigantesco pupazzo di neve, alto più di due metri, che si gonfiava grazie ad una pompa interna che gli permetteva persino di muovere le braccia mentre la sciarpa svolazzava intorno. In poche ore tutti i bambini della zona vennero a osservare l’ultimo increbile ritrovato della tecnologia, fresco, giovane, al passo con i tempi e prodotto dagli indefessi elfi del distretto industriale del Guandong. Il pupazzo non perdeva occasione di dileggiare apertamente il Babbo Natale, che se ne rimaneva immobile mentre l’omone continuava a ripetere “rottamatelo! Rottamatelo, è l’Europa che ce lo chiede”.
Pochi giorni prima del Natale, però, una perturbazione si annunciò con fulmini, tuoni e temporali. Un lampo colpì l’alternatore delle lucette led mandandolo in cortocircuito. Il finto pupazzo di neve sulle prime resse bene il colpo dell’acquazzone, ma poi il suo braccio agitandosi andò a infilzarsi contro il rametto di una pianta rimasta in veranda. In pochi istanti il pupazzo si sgonfiò, e di lui rimase solo una sagoma bianca per terra.
Il vecchio Babbo Natale resse ai fulmini, al vento e addirittura la pioggia portà via un po’ di quella polvere che aveva addosso. Quando il giorno dopo tornò a splendere il sole, le maldicenze delle lucine led finirono nel bidone dei rifiuti speciali, mentre del pallone gonfiato rimase solo la pompa che servì a scaldare la veranda. Il Babbo Natale di stoffa e plastica era ancora lì, tornato rosso, con le sue scuciture e la sua improbabile scalata sullo scarico che l’avrebbe impegnato fino alla festa dell’Epifania almeno.

Cari amici, se intorno a voci ci sono lucine led e palloni gonfiati che vi fanno sentire un vecchio inutile pezzo di stoffa, non dategli retta. Verrà la pioggia e tornerà il sole, e vorrei sarete ancora lì, nella vostra scalata impossibile, alla faccia loro e delle loro chiacchiere.
Perché sarete anche dei babbi natale, ma Babbo Natale non molla mai.

Auguri.

Il puntale grigio

natale_2014Rottamiamola! Rottamiamola! Il grido che veniva da alcuni abitanti dell’albero di Natale si faceva sempre più forte. Ce l’avevano con la stella di Natale, che da tanti anni troneggiava in cima alle loro teste. Era una vecchia privilegiata, gridò una candela di cera, largo ai giovani, strillò una pallina dorata in plastica di Taiwan. In effetti alcune decorazioni borbottavano che era vero, la stella era lassù da tanto tempo, ma era saggia e competente, e li aveva tutto sommato amministrati bene. Non era certo colpa sua se i rami dell’albero perdevano ogni anno qualche ciuffo, se le palline di vetro diventavano sempre meno numerose per gli acciacchi durante i trasporti, se le luci non si spegnevano e riaccendevano con effetto discoteca come negli alberi più recenti.

“Stai serena, stella!” gridò allora una delle ultime decorazioni arrivate. A dire il vero non si capiva bene cosa fosse, non era bella come le palle di vetro, non era autentica come le decorazioni fatte dai bambini, non era nemmeno leggera e resistente come quelle di plastica. Era una specie di candelotto grigio piuttosto rotondo, una specie di salsicciotto che nessuno ricordava da dove fosse venuto. Nonostante fosse grigio, diceva a tutti che si sbagliavano, lui era rosso, e no, non era affatto un candelotto: era un puntale. Avrebbe potuto far ricrescere gli aghi dell’albero in un batter d’occhio, se solo l’avessero messo in cima. Poi avrebbe riportato in vita tutte le palline rotte: non era difficile da fare, bastava avere un po’ di ottimismo e non essere dei vecchi attaccati alla cima come quella stella antiquata.

Nessuno credeva alle panzane di quel salsicciotto grigio, eppure, a furia di promettere, cominciò ad avere un certo credito. Certo sembrava eccessivo pensare che sarebbe stato in grado di far crescere l’abero fino al soffitto, visto che non si era mai visto crescere un albero in alluminio e plastica, e qualcuno borbottò che la sua idea di rendere luminoso direttamente il tronco dell’albero –  con un semplice accorgimento segreto –  non era realizzabile. Ma lasciamolo provare, si borbottava, cosa abbiamo da perdere? Magari non riuscirà davvero a far ballare all’albero il moonnwalker come ripete continuamente, ma qualche passetto di tip tap forse riusciamo a vederlo.

L’agitazione dal basso cresceva, il salsicciotto marrone aveva promesso alla base dell’abero di portarla in cima con sé, e alla fine, ondeggia di quà, ondeggia di là, la stella finì per cadere. Non capite? Questa è la volta buona, grido il budello grigio, e saltò in cima all’albero, proclamandosi nuovo puntale. In realtà nessuno aveva espressamente chiesto che finisse lì, ma intanto c’era. Con le sue mosse azzardate dapprima fece cadere tutte le vecchi palline di vetro, le più antiche ma anche le più lucenti.

Poi fece sostituire la base in legno, che finì bruciata in camino, con una base fatta di cartone a tutele crescenti.  Le luci furono spente perché rappresentavano un inutile spreco, tranne un gruppo che il salsicciotto raccolse intorno a sé perché lo illuminassero perpetuamente.

La porta si aprì, e due figure alte si avvicinarono all’albero.
“Cosa hai combinato, piccolo Silvio? Hai quasi distrutto l’albero! Che disastro”
“E dire che eri in punizione! Ci finirai di nuovo se continui così!”
“D’altronde l’albero era vecchiotto. Sarà l’occasione per cambiarlo. Che peccato, però, Silvietto ha rotto tutte le decorazioni più belle. E quello schifo in cima cos’è? Dove l’hai preso, Silvio?”
“So io, dove l’ha preso. E’ un vecchio pezzo di pongo sporco che avevo buttato via. Silvio, Silvio, quando la smetterai di rovistare tra la spazzatura? Non si fa”.

Il piccolo Silvio si allontanò sbuffando. Un’altra punizione non l’avrebbe davvero digerita. E poi quell’idea del puntale di pongo non era malvagia. Era così malleabile…

In attesa che arrivi il nuovo albero e che sia spazioso per accoglierci tutti, Buon Natale.
E se è vero che Silvio ha rotto le palle, non dimenticate che pure chi non distingue il grigio dal rosso ha le sue colpe.

PS. Cosa successe alla stella di Natale caduta dall’albero? Non poteva certo andare perduta, non un’ autentica stella di Natale. Una magia natalizia la trasformò prima che cadesse al suolo, la trasformò in un magnifico dono. Un dono che spero troviate tutti sotto l’albero. O magari nella calza della Befana, se non avete fatto in tempo. No, non è l’amore. E nemmeno la salute. Certo che ve le auguro, ci mancherebbe, ma era una vecchia stella di Natale, mica la lampada di Aladino. Se volete sapere in cosa si trasformò, guardate qui sotto.
Auguri. Una legione di auguri. Vogliatevi bene.

Presepe VS Albero di Natale

Un dettaglio del presepe 2013 dell'Arci Statte
Un dettaglio del presepe 2013 dell’Arci Statte

Il presepe può essere vivente, l’albero – se è vero – è quasi sempre morente.

Il presepe spesso è artistico, l’albero è spesso è artefatto.

Nel presepe c’è sempre chi aggiunge una statuina, nell’albero c’è sempre chi rompe le palle.

Il presepe racconta la storia della natività di nostro Signore con il codice iconografico, l’albero racconta frasi sconnesse acceso – spento – acceso – spento – intermittente  intermittente – acceso con il codice Morse.
Il presepe può essere ambientato in una città o in una foresta, in riva al fiume o in montagna, con una grotta o una stalla, con un laghetto o un prato fiorito, con un diorama o un plastico tridimensionale. L’albero può essere con il puntale o senza.

Il presepe ha bisogno di estro e creatività, l’albero ha bisogno di corrente elettrica.

Nel presepe la notte del 24 ci metti la riproduzione del bambinello, nostro Salvatore. Sotto l’albero la notte del 24 – ATTENZIONE: SPOILER – ci metti la casa di Peppa Pig e la cesta per i nonni.

Nel presepe c’è Gesù Bambino, Maria e Giuseppe, i Re Magi, l’angelo, l’asino e il bue, i pastorelli, e poi la lavandaia, il falegname, il contadino e il mugnaio comprati ai mercatini. Nell’albero ci sono palline e nastrini comprati all’Ikea.

Ma soprattutto, se qualcuno di voi nutrisse ancora qualche dubbio su quale preferire.
Il presepe è italiano, l’albero di Natale è tedesco.
W il presepe.

Che Epifania, quella del 2014…

presepe_2014Me la ricordo ancora, l’Epifania del 2014, eccome se me la ricordo. Certo noi Re Magi di annate difficili ne abbiamo conosciute, tra guerre, carestie e tumulte, ma quella del 2014 resta comunque una Epifania particolare.

Tanto per cominciare quell’anno Baldassare prese una gastroenterite prima di partire che lo tenne bloccato nel letto con il real pappagallo per quasi due settimane. A causa del blocco delle assunzioni però non potemmo sostituirlo, e ci affidammo  ad un’agenzia di lavoro interinale che inviò Peppiniello, un laureato in Filosofia con un master in Economia a Yale che era appena stato licenziato dal call center perché vendeva pochi aspirapolveri.
Spiegammo subito a Peppiniello che il suo sarebbe stato uno stage non retribuito perché così imponeva la normativa e Melchiorre era intransingente, ma un po’ di incenso sotto banco glielo avremmo assicurato comunque.
Sempre Melchiorre stabilì che non avremmo dovuto seguire la stella cometa perché apparteneva al vecchio apparato, e che avremmo usato un navigatore satellitare che facevano dalle sue parti. Non ti è bastata l’esperienza dell’anno scorso, gli risposi? Se funziona come i giocattoli che dalle tue parti fanno con i rifiuti industriali siamo a posto, gli dissi, ma lui fece finta di non sentire.

Il viaggio fu comunque più leggero del previsto; non tanto per la conversazione, visto che Peppiniello era logorroico e cercava continuamente di giustificare i sacrifici che i suoi genitori avevano fatto per farlo studiare con argute argomentazioni che non interessavano a nessuno, quanto perché proprio i bagagli sembravano più leggeri. Quando mi decisi a investigare, feci una amara scoperta: ci avevano derubato dell’oro! Ma quale furto, spiegò Melchiorre, quello se l’è preso l’Unione Europea per finanziare le industrie tedesche. Si chiama spending review. E ora come facciamo, domandai sconcertato? Melchiorre spiegò serafico che aveva pensato a tutto lui: con gli spiccioli aveva comprato dei biscotti. Biscotti? Avremmo portato al Salvatore dei biscotti? Ovvio, mi rassicurò Melchiorre.
Oro Saiwa, incenso e mirra. Nessuno ci farà caso, vedrai.

La batteria del navigatore di Melchiorre, come volevasi dimostrare, smise di funzionare a nemmeno metà viaggio, e non ci fu verso di farlo ripartire. Allora ci fermammo a chiedere indicazioni, o almeno per orientarci a cercare la nostra stella cometa. Passò un imprenditore in elicottero che aveva esternalizzato la fabbrichetta dalle parti di Melchiorre e il suo conto corrente a Monte Carlo, ma non si fermò perché aveva altri impegni, lui, e se andò maledicendo le tasse. Poi passò un lavoratore autonomo in Jaguar con il suo libretto di fatture intonse che non si fermò perché aveva altri impegni, lui, e se ne ando maledicendo le tasse. Alla fine arrivò un dipendente statale che dopo quarant’anni a 1100 euro al mese si era ritrovato senza pensione e senza stipendio perché la ministra tecnica samaritana l’aveva preso in giro con altri milioni di lavoratori. Si fermò, ci accompagnò ad un’edicola dove vendevano care vecchie mappe stradali di carta, e ce ne comprò una. L’edicolante infatti non aveva accettato la nostra proposta di scambio con un po’ di biscotti.

Arrivare arrivammo, alla fine, io e Melchiorre. Peppiniello si fermò per strada dove trovò lavoro come arrotolatore di tappeti, ruolo che lo gratificava e lo convinse a rimanere all’estero.

Per fortuna, la grazia e la serenità del bambino non era stata tagliata, e infondeva speranza come sempre. Solo non capimmo cosa ci facessero tre maiali nella stalla vicino al bue e l’asinello. Giuseppe ci prese da parte e ci spiegò che quella era la Troika che vigilava che fossero davvero poveri e che rimanessero tali. Chissà che un po’ di luce del Signore prima o poi non illumini anche quei porci, chiosò Melchiorre sospirando.

A proposito, non trovammo mai la stella cometa. Scoprimmo poi che si era bruciata nel passaggio vicino al sole, povera stella.

Buon Natale e felice 2015 (il 2014 è stato tagliato dalla Spending Review).

Buon Natale, bue.

Come vedete, il bue non c’è più

Il paese stava attraversando un periodo di profonda crisi. Erode, sulla base dei sondaggi della sua società di marketing, aveva dapprima ordinato di uccidere tutti i primogeniti maschi, poi aveva diramato una smentita accusando gli Esseni di essere i soliti comunisti che travisano la realtà, quindi aveva proclamato di essere disposto a lasciare il posto ad Ananiele. Alla fine aveva fatto uccidere i primogeniti mentre aveva salvato le femmine per garantire il ricambio generazionale alle sue cene eleganti.

Proprio in quei giorni un tweet avvisò Melchiorre: l’ora era arrivata. Un po’ se l’aspettava visto che erano nell’anno zero avanti Cristo. Cercò subito su Linkedin altri due re con i curricula adatti alla spedizione, e alla fine selezionò Gaspare, che si vantava di avere il dono del secolo, la mirra, e Baldassare, dotato invece di un potente navigatore satellitare, il Comet Star 2.0, che avrebbe dovuto condurli dritti alla meta.

Purtroppo il Comet Star aveva calcolato la strada più breve senza passare da pedaggi, che però non sempre è la più agevole, per cui i tre furono costretti ad attraversare il deserto del Gobi, quello del Taklamakan in Cina e il Rub’ al-Khali in Arabia tra gli accidenti di Melchiorre che aveva due piedi piatti e larghi quanto un 32 pollici mentre Gaspare di tanto in tanto tirava fuori un po’ di mirra e riacquistava il buon umore.
Finalmente raggiunsero la terra promessa, la terra del popolo che aveva ricevuto da Dio la legge direttamente su due tablet, anche se aveva dimenticato di regalargli il caricabatteria per cui il popolo dopo un paio d’ore di uao uao se l’era bella e dimenticata.

Qui purtroppo le tasse di Ananiele sulle case avevano costretto gli abitanti a vivere in grotte, ricoveri di fortuna e alberghi, tant’è che non si trovava un solo posto libero, e tutti i luoghi che Melchiorre – che aveva ormai due piedi quanto un 42 pollici – si era appuntato su Trip Advisor erano stati chiusi per fallimento. Per fortuna c’era Gaspare a tirarli su di morale con la sua mirra che condivideva e faceva passare loro serate di spensierata allegria.
Finalmente la voce nasale del Comet Star (Baldassare infatti non aveva scaricato le voci femminili per risparmiare) disse: seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto, fino al mattino. Rincuorati, fecero l’ultimo sforzo, con i piedi di Melchiorre grandi ormai quanto un 50 pollici 3D con dei calli che si vedevano bene anche senza occhialini.

Arrivò il mattino, arrivò l’ora di pranzo, e un pastorello che con il suo cane teneva a bada i suoi maiali in un’aia indicò loro la strada. Raggiunsero la misera capanna dov’era nato il Salvatore. Accanto a lui c’era sua madre, Maria, mentre un angelo cantava “I said, young man, ‘cause you’re in a new town, there’s no need to be unhappy, many ways to have a good time, it’s fun to stay at the Y-e-ru-sa-lem”. Melchiorre gli fece notare che erano a Betlemme e l’angelo, offeso, smise di cantare. Accanto al bambino, nella mangiatoia, c’era un asinello, che gli teneva caldo. Giuseppe offrì braciole di bovino per tutti e invitò tutti a non lesinare, che tanto avrebbero mangiato carne di bue per altri tre o quattro giorni almeno. I tre portarono i loro doni: oro e incenso, perché una guardia doganale alle porte della città aveva sequestrato la mirra a Gaspare, e poco male, visto che ne era rimasta veramente poca, giusto una modica dose per uso personale.
Giuseppe li ringraziò a lungo e volle segnarsi su un bigliettino i loro nomi, perché era importante non dimenticarli.

Di fronte alla bellezza di quel momento persino i piedi di Melchiorre sembrarono tornare alla dimensione di un 14 pollici (erano comunque due belle scialuppe), e i tre, pervasi dalla pace e dalla serenità, decisero di cliccare su “mi piace”. Ma niente, non riuscivano a trovare il profilo del bambino su Facebook. Trovarono quello del pastorello e dei suoi animali (e sì che ormai un profilo Facebook ce l’hanno cani e porci), ma non quello di Gesù. Cercarono qualche foto su Instagram, ma niente, un sacco di foto di Buddha che piaceva molto perché non veniva mai mosso, ma del piccolo nulla, nemmeno Flickr, nemmeno su Twitter. Cercarono persino su Google Plus dove però trovarono solo Mosè, Isaia e altri profeti morti secoli prima perché si sa che su Google Plus non c’è anima viva.
Allora i tre abbracciarono il piccolo, e ripartirono felici, accettando un paio di bistecche che Giuseppe diede loro.

Perché avevano capito che se vuoi davvero bene a qualcuno glielo dici abbracciandolo, e non cliccandolo su un pulsante.
Abbracciatevi. Buon Natale.

PS Il viaggio di ritorno durò ancora di più di quello d’andata, perché Gasparre insistette per passare da un suo amico che coltivava mirra.
Giuseppe perse il biglietto con i tre nomi durante la fuga d’Egitto.
Il pastorello cambiò mestiere quando gli spiegarono che gli ebrei non mangiano maiale e aprì un discopub con l’angelo.