C’è stato un periodo, dagli anni ottanta in poi direi, in cui tutto quello che i pubblicitari ci proponevano aveva qualcosa in più. Una comunicazione addittiva, si potrebbe definire. Dalle provitamine miracolose presenti negli shampo, al meraviglioso bifidus in grado di stappare star televisive come bottiglie di champagne, e via quel gonfiore antipatico. E i pezzetti di frutta nello yogurt, ve li ricordate? Soprattutto nel mondo delle creme di bellezza, era tutto un fiorire di “nuove formule” contenenti aloe vera, mentre nei detersivi ci si vantava di bicarbonato e sbiancanti vari. In molti settori è ancora così, bisogna dimostrare di avere qualcosa in più degli altri.
Però ad un certo punto questa leva deve essersi spezzata, perché i prodotti hanno cominciato ad essere apprezzati per avere qualcosa in meno. Soprattutto nel campo degli alimentari. Si è cominciato col mitico senza zucchero, quando, dopo gli eccessi della cioccolata spalmabile e delle bevande frizzanti, ci siamo ritrovati con la pancia molle e flaccida. Senza zucchero “aggiunto”, in certi casi, un modo per dire: questo succo è già talmente dolce che aggiungere dello zucchero mi sembrava uno spreco.
Ma sempre nel caso del “senza zicchero”, che cosa ci fosse però a rendere comunque dolce quel prodotto, abbiamo cominciato a chiedercelo dopo, forse troppo tardi.
A seguire, altre vittime del “senza” sono stati i coloranti: a qualcuno deve essere venuto in mente che tutte quelle sostanze chimiche con Equalcosa non devono essere poi così nutrienti, e via quindi alle etichette “senza”. Etichette belle grandi e magari bottigliette non trasparenti, perché non tutti sono ancora pronti a bere qualcosa di marrone o spalmarsi in faccia una crema verde.
Dopo sono venuti i conservanti, che in realtà in molti casi sono rimasti lì dov’erano, altrimenti il prodotto sarebbe marcio ancora prima di arrivare sugli scaffali, solo sono stati ribattezzati “antiossidanti”, che al consumatore italiota piacciono tanto, suonano bene.
Il premio però per la comunicazione sottrattiva ce l’ha senz’altro la frase “senza olio di palma” che ormai è diventato un mantra di qualunque prodotto, anche di quelli che l’olio di palma non ce l’avrebbero mai avuto comunque. Prima o poi mi aspetto infatti una bottiglia di vino con la dicitura “senza olio di palma”, e sono anche sicuro che qualcuno la comprerebbe volentieri, che non si sa mai.
Cari pubblicitari, fossi in voi io tornerei alla comunicazione additiva. Perché se avete tolto qualcosa che prima c’era, vuol dire che vi siete accorti di aver fatto una cagata, ma allora non state a ricordarcelo.
Io non comprerei una fantastica maglietta “senza piombo o mercurio aggiunti” o un’auto “senza amianto”.
Poi, come sempre, decide il committente.