Avevo un compagno d’appartamento d’università che faceva tre colazioni al giorno. La prima colazione, latte e biscotti. La seconda colazione, latte e biscotti. La terza colazione, latter e biscotti. Niente male come dieta, sarà forse un caso che subì un intervento di peritonite acuta (e andò in ospedale in bici… quando la vita supera i romanzi). In effetti, però, le sue erano colazioni.
Ma allora mi volete spiegare perché adesso sui programmi di conferenze, corsi o manifestazioni tra l’una e le due, in orario quindi che non lascia adito a dubbi, mi ritrovo “Colazione”? Offriranno forse a clienti o partecipanti latte e biscotti, o magari te e bacon per fare gli inglesi? Niente di tutto questo, è che il pranzo sa di importante, siccome invece in queste occasioni si offre un buffet di schifezzuole fredde, meglio denigrarlo al grado di “colazione”.
Ma come vi permettete?
Pensate che basti cambiare una parola per cambiare l’oggetto a cui si rivolge? Se la chiamate “colazione” forse non arà più un’accozzaglia di schifezzuole fredde? Io penso proprio di no, a me che non vi basti chiamare bolide la vostra utilitaria per sentirvi Alonso, o magione i vostri 35 metri quadri.
Le cose sono quello che sono, e non è giocando con le parole che le migliorerete. Scrivete “pranzo di lavoro”.
La gente capirà che è meglio non aspettarsi le lasagne, ma nemmeno i Saiwa.
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Sfumature multietniche
Ieri ho giocato a calcetto con un gruppo di persone… variopinto.
C’era un peruviano, tutto tocchi di prima, samba e galanteria d’altri tempi. C’era un siciliano, l’ultimo ad arrivare in campo e attento a sedare le risse da lui stesso alimentate.
C’era un colombiano, anche lui passo felpato, eleganza malinconica e poca sostanza.
Un campano, l’organizzatore, amico di tutti.
Uno scozzese, l’unico a fare corretamente il riscaldamento senza lanciarsi subito sulla palla, con consapevolezza nordica.
Un genovese che si è esibito in un turpiloquio da fare arrossire una capo mafia cinese.
Un pugliese capace di segnare un solo di gol di rapina, nel vero senso della parola. Un giocatore dell’altra squadra, appena cominciata la partita, gli passa la palla, convinto che siano compagni. E lui la scaglia fortissimo in porta, avendo pure il coraggio di esultare.
PS. Il pugliese ero io. W l’Italia.