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I papà e la tivù dei piccoli

tivvuAlla fine è successo anche a voi, siete diventati papà. E dopo i primi mesi trascorsi attaccati a mammina, ecco che i pargoli acquistano autonomia, si rendono intraprendenti, cominciano a nutrirsi di strumenti televisivi di indottrinamento di massa. Ed è bene che vi prepariate, perché è roba che picchia 24 ore al giorno su cinque o sei canali, per non parlare di quelli tra voi talmente ricchi da comprarsi anche i canali a pagamento (non è il mio caso, se non si è capito dal rancore sottinteso).
Avete presente le teorie sulla parità dei sessi, sulla costruzione sociale del genere, sulla libertà di crescere liberi da cliché? Bene, dimenticatele. Perché gli autori dei programmi per bambini queste teorie non le conoscono. Se avete una figlia femmina, la parola chiave sarà: principessa. Non architetto, ingegnere, e nemmeno astronauta. Vuoi mettere tutta quella fatica sui libri per trovare poi un lavoro sottopagato o dover fuggire all’estero, quando puoi trovarti un bel fusto e farti mantenere tutta la vita? Certo dovrai magari per un po’ occuparti delle faccende domestiche (Biancaneve e Cenerentola) ma poi vivrai felice e contenta. Oppure dovrai fare lo sforzo di baciare un rospo, che però ti sistemerà per sempre. Ancora meglio se tua madre ti toglie questa incombenza e il re se lo sposa lei, come succede a Sofia la principessa.
Certo, qualche eccezione c’è. Come la dottoressa Peluche. Che non è un’attrice porno anni settanta. Dimenticate quelle cose, siete papà ora. È una simpatica aggiustatrice di giocattoli, ma attenzione, è di colore. Evidentemente s’è trovata un lavoro visto la carenza di principi nel suo quartiere. Che poi il lingua originale è Doc McStuffins, e a quanto mi risulta non aggiusta i peluche. Davvero i traduttori stavano pensando ad altro. A CUI NON DOVETE PENSARE VOI. Siete papà ormai.
E già che siamo in tema, ricordate che la mamma di Peppa Pig è una porcellina. Non una maiala, e nemmeno una porcellona. Anche se, considerando il perenne sorriso soddisfatto di suo marito, probabilmente un po’ porca è. Ma rimanga tra noi. E le Wings, nonostante gli abiti striminziti, il trucco vistoso e i tacchi a spillo non fanno il mestiere più antico del mondo. Sono fatine. Ricordatevelo, perché il giorno che i vostri figli troveranno nascosto in un cassetto quel vostro vecchio dvd che non avrebbero dovuto scoprire, spiegherete loro che quello è un film di fate, solo per bambinoni un po’ più grandi.
Se invece avete un figlio maschio, probabilmente i suoi modelli televisivi saranno il postino, il pompiere, il costruttore edile e il vichingo. Considerando che non ci sono da anni concorsi pubblici e vista la crisi dell’edilizia, probabilmente indossare un copricapo con le corna e assediare i porti a bordo di velieri a vele non sarà poi una cattiva idea, un domani.

PS Lo so, lo so, ci sono delle valorose eccezioni, da Pocahontas a Ribelle, passando per Tiana. Per non parlare della mia preferita, Fiona. Ma sempre aristocratiche sono. Insomma l’idea che ci provino a insistere su ruoli nobiliari stereotipati rimane, specie per quanto riguarda la Disney. E per i maschi le cose non migliorano: qui se non sono nobili sono insulsi. L’eroe per quelli della mia generazione era l’intrepido Zorro. Adesso c’è quel palestrato salutista di Sportacus che mangia solo mele, ha gli stessi baffetti di Zorro ma il carisma di un Don Diego in pigiama.

L’orizzonte di Peppa Pig

Peppa_Pig
Dal sito www.peppapig.com

Uno degli argomenti di discussione nelle piazze virtuali e reali degli ultimi giorni, complice lo stop del campionato, la mortale noia della politica e la mediocrità dei cinepattoni, è il successo di Peppa Pig, un programma televisivo dedicato ai bambini in fascia prescolare. Sono già state scritte tante analisi sul programma, e non sarei in grado di aggiungere molto di interessante a quanto riportato per esempio da questo articolo.

Condivido l’apprezzamento verso le scelte stilistiche degli autori: disegni bidimensionali, colori netti e senza sfumature, durata (5 minuti) sufficiente a raccontare una storia ma non tanto da annoiare i più piccoli, il commento sonoro puntuale e mai ornamentale. Mi piacciono anche gli elementi tipici della modernità (il papà che cucina mentre la mamma lavora, l’incontro con la famiglia dei conigli, che hanno abitudini “diverse” ma in fondo condividono i valori di base dei maialini, il ruolo diseducativo ma affettuoso dei nonni).

Sottoscrivo anche l’opinione di chi considera il merchandising intorno a questo prodotto eccessivo e invadente: scadente, aggiungo io, nel senso che i prodotti editoriali che sfruttano l’immagine di Peppa Pig non hanno nulla della geniale gestione dei contenuti del programma, ma si limitano a riproporre stancamente soluzioni che prima sono state di Winnie The Pooh, delle Principesse, di Topolino. Fin qui ribadisco concetti già ampiamente risaputi.

Ad un certo punto però ho sentito l’esigenza di aggiungere qualcosa al dibattito, in particolar modo dopo l’articolo sul tema di Gramellini. Ora, da sempre considero Gramellini uno scrittore e non un giornalista: in quanto tale tende a usare elementi e informazioni per raccontare le “sue” storie, per condirle e renderle saporite, per ammaliare il lettore e condurlo lungo un percorso che ha preparato per lui. Comportamenti ineccepibili per uno scrittore ma deontologicamente discutibili per un giornalista. In questo caso almeno Gramellini ha l’onestà intellettuale di ammettere la sua ignoranza sul tema, e il fatto di aver cercato di recuperare con una full-immersion di episodi della maialina rosa e della sua famiglia. Ora, Gramellini apprezza la famiglia così politically correct e rassicurante penstata dagli autori dopo anni di provocazioni, cinismo, sarcasmo e cattiveria. E così scatenando le ire di una certa sinistra radical chic per la quale se un programma non contiene incesto, tossicodipendenza e tratta delle bianche allora è mistificazione della realtà, è neofascismo edulcorato, è oppio per le coscienze da narcotizzare con immagini tranquillizzanti.

A parte il fatto che mi piacerebbe che la sinistra tornasse a cercare di risolvere i problemi invece di limitare a raccontarli con dissimulato compiacimento, in una catarsi consolatoria da piccolo borghesi che discutono di Darfur durante l’apericena, il punto è che sia Gramellini che trova Peppa Pig rassicurante sia i suoi oppositori che denunciano l’assensa di mafia e stupri durante gli episodi non mettono a fuoco il fulcro del programma. Che è il punto di vista narrativo, che è quello di una bambina di 4 anni.

Non so se avete presente cosa sia un diorama. Si tratta di una riproduzione ambientale che sfrutta le regole della prospettiva per rendere maggiormente realistici e avvolgenti gli scenari. Tipicamente si usa per il presepe o per altre scene di ambientazione religiosa: per godere però a pieno degli effetti pensati dall’autore bisogna vederli ponendo lo sguardo all’altezza dell’orizzonte del diorama. Infatti quando vengono mostrati al pubblico sono di solito presentati in modo che l’occhio dello spettatore raggiunga l’altezza delle statuine e che il campo visivo sia limitato. In questo modo – se l’autore è stato bravo – si può rimanere affascinati dai paesaggi tridimensionali, dagli ambienti paesaggistisci sullo sfondo, dal gioco di luci e di colori, dall’impressione di essere di fronte ad una fotografia in 3d. Se però un diorama lo si osserva lateralmente, o da un punto troppo alto o troppo basso, allora tutto il gioco si perde, e la magia è sostituita dall’osservazione sciapita di una specie di plastico stretto e lungo.

Per capire Peppa Pig bisogna osservarla come si osserva un diorama: dal punto di vista di un bambino. Che non è quello del critico televisivo e nemmeno quello del vicedirettore di un giornale. Io credo di aver imparato da Peppa Pig più dall’osservazione delle mie bimbe, fedeli spettatrici, che dalle mie limitate competenze analitiche. Non è corretto dire che Peppa Pig è rassicurante, perché non parla di buco dell’ozono, malattie invalidanti o crisi economica: questi temi sono estranei anche al più sfortunato bambino di tre anni (tra gli spettatori di Peppa Pig, ovviamente: quando hai lo stomaco gonfio per la fame hai problemi più seri ma di certo non guardi la tivù). Però questo non vuol dire che a due anni non si soffra: a quell’età si soffre per la rottura del giocattolo preferito, per la gelosia nei confronti del fratello o della sorella minore, per una gara all’asilo in cui non si riesce a primeggiare.

Voglio sperare che i miei 25 lettori non si siano ariditi al punto tale di aver dimenticato che per queste situazioni si può piangere, essere intimiditi, avere paura e in’ultima analisi soffrire a quell’età. E questi elementi sono tutti presenti in Peppa Pig: perché un bambino di tre anni nel mondo occidentale non ha paura del cybercrimine, ha paura di salire in cima ad uno scivolo. Però il batticuore, l’adrenalina e i tremori sono gli stessi, anche se certi grandi l’hanno dimenticato. Rassicurante per me è il manga giapponese in cui un orsacchiotto venuto dal futuro risolve tutti i guai infilando la mano in una tasca magica, non quello in cui Peppa impara che se vuole imparare a pattinare deve seguire i consigli della mamma, perché se non sai frenare poi finisci a terra, e ti fai male.

Se volete capire Peppa Pig, prima abbassatevi per porre lo sguardo all’altezza dell’orizzonte giusto. Fate ancora in tempo.

Il marketing ai tempi di Peppa Pig

bimbeLa mattinata di sabato scorso è stata piuttosto intensa e abbiamo sfiorato un piccolo dramma familiare, ma se non altro mi è servita per ripassare due o tre concetti di marketing che credevo di aver dimenticato.

  1. Se operi nel commercio, devi analizzare il mercato e orientarti verso la clientela le cui caratteristiche la rendono per te più vantaggiosa. Trascura quelle meno redditizie, se necessario, ma non trascurare i tuoi clienti più affidabili. in un periodo di crisi un papà può rinunciare al giornale e al caffé, ma non rinuncerà ad allietare il fine settimana di sua figlia. Per cui devi avere assolutamente le patatine con la sorpresa.
  2. Non basta; devi avere le antenne sempre alzate e captare le tendenze dell’opinione pubblica. Cioè devi avere assolutamente le patatine di Peppa Pig. Perché se ci sarà in futuro un’etichetta per il secondo decennio del secolo, sara “l’era di Peppa Pig”.
  3. Le scorte vanno riassortite in fretta, e il magazzino gestito con flessibilità e raziocinio. Se avevi le patatine di Peppa Pig la settimana scorsa, ma per qualche motivo non ce n’è più traccia mentre quelle delle tartarughe Ninja sono ancora lì, svegliati! Le tartartughe sono il passato! Devi riempire in fretta la mensola di patatine di Peppa Pig! Se possibile, riempirne un settore intero.
  4. Se hai risposto affermativamente ai punti precedenti, allora devi comunicare alla clientela la tua condizione: hai una killer application, hai le patatine di Giuseppina Maialina, diamine tutti devono saperlo.

Il marketing nel mio quartiere è materia sconosciuta. La piccola Coop non ha mai avuto le patatine in questione, e nemmeno il negozietto di stranieri (magari sono pakistani e non mangiano il maiale, e nemmeno le patatine con l’effige del maialina. Hai visto mai. No, no, non ha senso, i pakistani vendono ettolitri di vinello, se è per questo). La Coop più grande ce le aveva, ma le ha finite. La Conad (siamo arrivati fino alla Conad! Alla fine mia figlia era esausta) ha una varietà di patatine assolutamente fuori dal mercato: Sponge Bob, Monster e Co., Hello Kitty. Sconfitti, abbiamo ripiegato su quest’ultima dopo un peregrinare di oltre un’ora.
Se qualcuno sa dove trovare le maledettissime patatine di Peppa Pig, me lo dica entro sabato prossimo. Fino a 200 km di strada posso farli.