Lo ammetto: mi è capitato in passato di mangiare in un fast food, così come capita di scivolare in una pozzanghera o di beccare un paletto parcheggiando.
Ne sono sempre uscito con il colesterolo ammaccato, ma tant’è. Sono spesso gli unici posti in cui si riesce a mangiare nei dintorni delle stazioni e gli unici aperti in certi orari, per cui uno si sente condannato. So di alcuni a cui quel clima di gasolio fritto e poliestere addirittura piace.
Ma quando ho visto la campagna del McItaly, persino la mio coscienza sonnolenta di uomo del terzo millennio ha avuto un sussulto.
Ma come? Il simbolo più deteriore della catena di montaggio applicata alle nostre vite (paga-ingoia-esci-paga-ingoia-esci-paga-ingoia-esci) associato ai prodotti agricoli italiani? Si dice: almeno così sai che mangi carne italiana e non un frullato di budella di mucche irlandesi e vacche della Nuova Zelanda. Almeno sai che l’insalata è coltivata nei campi e non in serre biotecnologiche su un altopiano centroamericano. E perché, da quando la cucina italiana è fatta dagli ingredienti, e non dalla creatività con cui si combinano? Italy per me vuol dire prendere americanissimi pomodori e trasformarli, con pazienza e delicatezza, in ragù. Italy per me vuol dire prendere le patatone tedesche e cuocerle al forno con lentezza e rosmarino, anziché stritolarle in un elettroshock di oli bisunti. Italy vuol dire mangiare la carne (e non tutti i giorni) con la forma che ha, che sia costata o petto di pollo, e non ho mai visto un macellaio affettare bistecche di forma rotonda. Pane e mortadella, ecco cos’è Italy. Insalata caprese, ecco cos’è Italy, con un po’ d’olio d’oliva, e senza salsine speziate. Senza zuccheri aggiunti.
E senza l’inutile cetriolo che – lo cantavano anche i Gem Boy – nei fast food infilano tanto per scrupolo di coscienza: mangi un panino di carta come un pollo in batteria, ma insomma, c’è pure il cetriolo.
Quale sarà il prossimo passo? La pizza all’ananas con frutta solo italiana? Colazione con pancetta e uova rigorosamente prodotte in Italia? Salsiccia e crauti coltivati in sicilia?
Buon appetito, italyani.
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Donne molto pesanti
Ieri sera ho presentato il mio romanzo presso la sala consiliare del Quartiere Reno, a Bologna, grazie alla collaborazione dell’associazione Libri e Dintorni. Ma non è questa la notizia. In un clima molto informale e giocoso (le presentazioni sono così troppo spesso triiiiiiisti), ad un certo punto mi sono messo a raccontare della mia disapprovazione per le diete dimagranti. Servono, lo so, l’obesità è un problema, ma le ragazze a dieta mi mettono tristezza, specie quando non ne hanno bisogno. Si esce la sera, tu ordini birra antipasti pizza speck e grana e già pregusti il tartufo che ordinerai per dessert (non sono particolarmente goloso, ma la convivialità della tavola per me è sacra), e magari la persona che hai di fronte ordina un’insalata. E basta. Un’insalata, come se l’insalata fosse un piatto a ordinare per una persona civile. L’insalata è un contorno, un ornamento per la fiorentina o per il petto di pollo, un contenitore che permette alla salsiccia ai ferri di scivolar più tranquillamente giù per l’esofago. Non si può uscire a cena e ordinare un’ insalata scondita senza gettare nello sconforto cameriere, amici, commensali, e tutto il quartiere man mano che la voce si sparge.
E che dire delle ragazze che ordinano una pizza sottile con un filo di pomodoro senza mozzarella e con poco sale? Una specie di frisellona scondita. Giammai. Ebbene, una simpatica signora durante la presentazione di ieri ha aggiunto: io sono stata testimone di una signora che ha chiesto al cameriere di pesare la pizza, prima di mangiarla. Fossi stato il cameriere, le avrei risposto: niente può renderla più pesante di quanto già lei non sia, signora…