Gli scarsi sono i membri di una squadra che proprio non riescono a svolgere decentemente un’attività. Non sono capaci, lo sanno, e lo sanni gli altri.
Per usare nella metafora calcistica, sono quelli incapaci di stoppare la palla, giocarla, fare un passaggio. Li piazzi in difesa, invitandoli a infastidire l’avversario muovendosi e cercando di colpire il pallone e mandarlo lontano. Non sono dannosi, gli scarsi: presto il gruppo si adegua alle loro caratteristiche ed evita i contraccolpi generati dal loro modo di fare. Il vero problema del gruppo non sono gli scarsi, sono i perdenti.
I perdenti sono coloro con i quali sistematicamente si perde, nel lavoro come nello sport o nella vita. Hanno letto un libro nella vita, e lo citano continuamente; hanno partecipato ad un corso di due ore di qualcosa, e si sentono ormai esperti della materia; hanno cioè quel minimo assoluto di competenza sufficiente a farli sentire sicuri di sé, e a fare danni. I perdenti sono quelli che di solito pretendono di fare i centravanti, si fanno passare decine di palloni (e se non gliela passi se la prendono da soli) e li mandano sempre, inevitabilmente fuori.
Ci sono perdenti e scarsi ovunque: per fare un esempio la Arcuri è una scarsa, ma non fa danni, nessuno si aspetta che reciti nei suoi film, fa parte della scenografia; la Bellucci invece è perdente, perché pretende di partecipare a film seri, e li rovina. Ce ne sono tanti anche in politica, in letteratura. L’importante è imparare a distinguere: abbracciare gli scarsi perché in fondo lo siamo un po’ tutti in qualche settore, e tenere alla larga i perdenti che ci trascinano a fondo con la loro boria