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La maledizione della carta plastificata

Quando eravamo un popolo brutto, cattivo e irresponsabile, facevamo la spesa ricevendo sacchetti di plastica. Che poi creavano enormi Groenlandie galleggianti fatte di spazzatura in mezzo all’Oceano Pacifico, roghi tossici per l’ambiente quasi al livello di quelli dell’Ilva (quasi), montagne di rifiuti nelle bidonville di quale paese africano. Tutte scene orrende che abbiamo imparato a temere.
Bene.

Oggi compriamo sacchetti (dalle mie parti si dice buste, a Bologna sportine: sacchetto mi sembra un compromesso accettabile) fatti di materiale biologico, solo che per risparmiare li producono talmente sottili che hanno più o meno la stessa resistenza della difesa del Taranto (la squadra dell’anno scorso: quella di quest’anno si prospetta molto più inconsistente). Un pallone fatto con le Big Babol regge meglio il peso.
Vabbe’, possiamo sostituirli con quelli di cotone o plastica resistente che si può usare più volte. Tutti contenti? Macché. Perché i sacchetti di plastica che usavamo quando eravamo sporchi e cattivi poi li riciclavamo per portare fuori la spazzatura. Oggi facciamo la spesa con sacchetti di cotone, e poi quelli di plastica li compriamo per buttare via l’immondizia. Ma davvero vi sembra una scelta intelligente?

E non parliamo poi della raccolta differenziata. Signori produttori di packaging, ve lo dico una volta per tutte: o la plastica, o il cartone, o quello che pare a voi, ma mi rifiuto categoricamente di accettare i vostri miscugli. I contenitori di latte ci andavano bene tutti di carta, un taglio in punta e via. Ora con i vostri maledetti tappetti di plastica ci avete complicato il lavoro, e poi il brick gocciola latte nel sacchetto (sì, quello di plastica che abbiamo comprato) e fa una gran puzza. Perché questo maledetto mix? 

Il sacchetto del pane lo vogliamo di carta! A che serve quella fascia di plastica? A mostrarci il contenuto? Perché forse non sappiamo di aver comprato del pane, e volete darcene una anticipazione? Cos’è, uno spoiler quella fascetta, per rovinarci la sorpresa di estrarre il filoncino e scoprire cosa abbiamo comprato? Ma dai.

E i biscotti? Basta con queste indicazioni pilatesche: prima di buttare la confezione, informati sulle norme del tuo Comune. Io mi informo, ma tu, piccolo dannatissimo produttore, devi dirmi se l’involucro è di carta, o di plastica.

Se è carta plastificata, la maledizione dei differenziatori scenda su di te e colpisca le prossime settime generazioni cui si romperà il sacchetto dell’umido per le scale o sui piedi.
Sette generazioni.
Meglio estinguersi prima.

La plastica rossa

La rete di plastica rossa è il sintomo di una delle malattie del nostro sistema sociale. La rete di plastica rossa appare su uno scivolo, una giostra, un’altalena, e la isola dal mondo circostante. Quella giostra non si può usare più, un pezzo di gioia dei più piccoli viene ingabbiato prima di scomparire. In un sistema sano la giostra verrebbe sostituita. Al limite riparata. AL limite la plastica rossa l’avvolgerebbe per qualche tempo, giusto il necessario per procedere alla sostituzione. Ma purtroppo, i politici, per quanto possa essere vituperata questa professione, sanno che i genitori dei bambini votano, e prima o poi si ricorderanno della plastica.I tecnici no. Per loro c’è una giostra da rivedere, tirano fuori la plastica e non ci pensano più. Anzi, quella casella in meno sul loro foglio excel li convince di aver fatto la scelta giusta.
Abbiamo bisogno di un sindaco, a Bologna.

Uno che la smetta di spegnere le luci, alzare le tariffe e avvolgere di plastica rossa i desideri dei nostri bambini.

La riproduzione dei cestini

Alla fine è arrivato anche lui. Il quinto cestino della spazzatur in casa mia. Dopo l’indifferenziato (e pensare che una volta c’era solo lui), l’organico, il vetro, sono arrivati anche plastica e carta (che prima erano uniti). A parte le pile e i medicinali scaduti, che per ora non hanno un cestino loro ma spingono per ottenenerlo…
Niente da dire sull’importanza della raccolta differenziata, se fatta bene è l’unica speranza per una società sprecona come la nostra. Però in cuor mio spero che il quinto cestino sia l’ultimo: persino il mio istinto ecologista va in crisi all’idea che un giorno potremo avere un cestino per la finta pelle, un cestino per il legno, uno per il legno Ikea, uno per l’organico vegetale, uno per l’organico animale, uno per le bottiglie di vetro, uno per i barattoli, uno per i pannolini con il ripieno, uno per quelli senza, uno per tutti i quotidiani, uno per il Giornale e Libero (vanno smaltiti con procedure apposite)…