Che Donadoni sia una persona cortese e perbene nessuno ha dubbi, sia quando era calciatore che dopo ha sempre mostrato classe e sobrietà.
Qualche dubbio sorge invece sulla sua furbizia, perché accettare l’incarico di allenare la nazionale campione del mondo dopo Lippi e senza avere particolare esperienza è stata sicuramente una scelta coraggiosa ma forse avventata. A parte le tre colossali brutte figure che Donadoni ha sinora raccolto, e per le quali non sempre è responsabile (certo che far esordire Semioli a Parigi, perdindirindina…), il problema è che agli occhi di tutti, me compreso, egli incarna l’odioso ruolo di raccomandato.
Un conto è che vinci scudetti, coppe dei campioni, coppe europee prima di arrivare in nazionale, come è successo per Sacchi,Trapattoni e Lippi. C’è un curriculum, ci sono risultati riconosciuti. Un conto è che mostri una lunga carriera "aziendale" come Zoff e Vicini. Ma se ti presenti dopo una stagione di campionato di serie A con una squadra di medio livello in cui per giunta sei stato esonerato, allora il dubbio che la tua amicizia con il vicepresidente della Federcalcio abbia inciso sulle scelte si fa pesante.
Neppure in Rai si è mai arrivati a piazzare un neolaureato con qualche mese di esperienza al Gazzettino di Vattellapesca a dirigere il TG1. Neppure nelle aziende padronali il rampollo di famiglia diviene subito amministratore: qualche anno al marketing o alle pubbliche relazioni gli toccano. Eppure è successo in nazionale. Di solito i raccomandati sono attaccatissimi alle loro porltrone e non vogliono sentire parlare di dimissioni. Vediamo se il ct ci smentisce o ci tocca aspettare un’altra umiliazione dalla Ucraina…
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Babbo Natale e la sfida della concorrenza – 4 –
La ragazza arrossì, nascose le mani dietro al grembiule, si schiarì la voce e disse con un tono flebile appena udibile.
– Sono la nuova inserviente…
– Ecco, appunto, lei non serve. Quando avremo bisogno del suo parere glielo chiederemo.
– Ma io… – Contratto? – A tempo determinato…
– Ahi ahi. Non lo facciamo determinare prima del tempo.
– Ma no, ma no – l’esperto in pubbliche relazioni sbottò dal fondo della sala.
– Santa, insomma! Non ti riconosco più! Come vuoi che credano in te i bambini se ti comporti in maniera così rude, fredda, autoritaria!
– Ma…veramente…
– Tu devi essere il babbo di tutti, accondiscendente, sereno, sorridente… Scommetto che neanche quest’anno hai letto il mio communication plan!
– A dire la verità…
– Ecco, lo vedi? Devi curare di più la tua immagine. Signorina? Un bicchiere d’acqua, grazie. E poi ci lasci soli, questa è una riunione riservata.
Appena la giovane uscì, Babbo NAtale domandò sospettoso:
– Ma come, fai tante storie e poi sei più rude di me?
– Io non sono Babbo Natale. Ricordatelo. Posso sempre andare a lavorare per l’angioletto dei dentini. Non è un granché motivante ma paga bene.
– Non dirlo neanche…
– Allora ascoltami. La smorfiosa ha ragione. Dobbiamo impostare una bella campagna finalizzata su un target preciso. Un bambino. Uno solo. Dobbiamo convincerlo. Il resto verrà da se. Viral marketing, si chiama. Funzionerà, vedrai.
– E come lo scegliamo, questo bambino?