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La Vale e il Giampi

“Vale non c’è, provo a sentire dall’Ale se può venire con la Franci e il Giampi…” scampoli di dialoghi immaginari ma neanche tanto in una qualunque città al nord di Roma. So che danno i brividi solo a riprodurli, trasudano bruttezza e superficialità. Premetto che non sopporto l’usanza dialettale settentrionale di chiamare i nomi femminili anticipati dall’articolo, lo trovo un retaggio maschilista; tuttavia spero che non scompaia perché è un’argomentazione vincente contro tutti i settentrionali che pretendono di vantarsi dell’emancipazione femminile nelle loro zone trascurano questi dettagli importanti (il linguaggio è da sempre un indicatore fondamentale della cultura di un popolo!).

Io non solo non dirò mai “la Vale”, siamo in democrazia, gli altri dicano quel che vogliono, ma non dirò neanche “Vale”: ti chiami Valentina, o Valeria, o Valebalda (?) il tuo nome ha una storia e una tradizione, perché mozzarlo in maniera così truce? Per far prima?

Ma non scherziamo, capisco uno che si chiama Domenico diventi Nico e tollero che Elisabetta diventi Elisa o Betta, ma da Alessia ad Ale risparmiamo una sillaba, suvvia! Temo che in tutto ciò ci sia la solita influenza americana: gli americani si chiamano spesso Al,Joy, Bo o Bob. Ma i loro nomi “non significano un c*zzo”, come ricorda una meravigliosa battuta di Pulp Fiction; i nostri sì, fino a quando a furia di troncarli non ne dimenticheremo l’origine…

Esmeralda: What is your name?
Butch: Butch.
Esmeralda: What does it mean?
Butch: I’m American, honey. Our names don’t mean sh*t

Kill Bill Volume I

Quentin Tarantino si deve proprio essere divertito un mondo, nel girare Kill Bill: si ha quasi l’impressione di scorgere l’entusiasmo del regista che cita a piene mani dal cinema orientale di serie B, che gongola nello splatter più truculento, che si sente perfettamente a suo agio tra teste mozzate, arti che schizzano via e sangue, sangue, tanto sangue.
La tecnica c’è ed è magistrale, dalla scelta dell’inquadratura al ritmo che alterna sequenze adrenaliniche a improvvisi rallentamenti, dalla musica anni 60 che si sposa benissimo con le immagini vivide e colorate, ai salti temporali che tanto piacciono al nostro regista. Un capolavoro, allora? Forse avrebbe potuto esserlo, se solo avesse avuto un minimo, vago, leggero abbozzo di sceneggiatura. Invece i dialoghi latitano, sono ridotti all’essenziale, quando ci sono funzionano nel gioco parodico “I più fortunati di voi che hanno ancora una vita se ne vadano finché sono in tempo, ma lasciate qui i vostri arti amputati, quelli ormai mi appartengono…”, insomma siamo distanti anni luce dai momenti migliori delle Iene e di Pulp Fiction. Tenete presente comunque che chi scrive ama molto la parola e molto meno le amputazioni sanguinolente, e questo può aver influito…