Quella del 68 è stata un generazione che ha avuto il merito di conquistare il dominio culturale "generazionale" sui loro genitori ed il demerito di non mollarlo più nè per i figli, nè, ormai, per i nipoti.
Quando parlo di dominio culturale mi riferisco alla capacità di conquistare spazio sui media, nella politica, nell’arte, in modo da imporre i propri gusti: i sessantottini smontarono secoli di musica "alta" e ci piazzarono i Beatles, trasformando in musica d’elite persino quei generi, come il jazz, nati nei ghetti poveri. Dopo vent’anni hanno cominciato con il revival, disprezzando la musica anni 80 dei loro figli (musica commerciale, musica vuota, musica usa e getta, vuoi mettere John Lennon). Vi ricordate i vari "Vent’anni dopo", "Sapore di mare", "Una rotonda sul mare"? Ora, quarant’anni dopo, uno potrebbe pensare che c’è stato un ricambio generazionale, che magari si ripropongono i programmi nostalgici, ricordando gli anni ottanta. Macché.
Sempre e comunque Beatles, di cui si festeggiano il quarantennale dell’uscita si Sgt.Pepper, sempre e comunque noi si che sapevamo vivere, noi sì che abbiamo cambiato il mondo, noi si che ci sapevamo fare. Ma basta! I Beatles sono stati un grande gruppo, ma questo non vuol dire che David Bowie, Queen, U2 e Rem (i primi che mi vengono in mente in un percorso post anni sessanta) non valgano nulla. Quando andranno in pensione i sessantottini che sui giornali si interrogano se siano meglio i Beatles o i Rolling Stones? Quando lasceranno cadere la penna gli sceneggiatori che ricordano e vivono solo di Piper, Bandiera Gialla e Woodstock? Secondo me è ancora presto.
Prepariamoci anzi ad un convegno "68, cinquant’anni dopo" fra una decina d’anni. A organizzarlo, sempre i soliti arzilli sessantottini inchiodati alla poltrona…