Mestiere da vendere e ottima fotografia per uno dei film più sopravvalutati della stagione.
Sean Penn illustra la storia vera di un giovane neolaureato che, complice una coppia di genitori con più di una colpa da farsi perdonare, parte in un lungo giro dell’America che da Atlanta lo porterà in Messico, poi a Los Angeles e infine in Alaska.
Paesaggi mozzafiato, voce narrante fuoricampo, facile lirismo per un film troppo lungo dove tutto si prevede con largo anticipo, anche la noia.
Il montaggio che alterna gli ultimi giorni con lunghi flashback del viaggio vorrebbe dare un po’ dio brio ad una struttura pachidermica troppo pesante per prendere mai il volo.
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The interpreter
Non è facile coniugare un thriller che rispetta fedelmente i canoni del genere (ritmo, suspence, intrigo) con un tema sociale di difficile gestione come la situazione politica in certi stati africani. Ci voleva il genio di Pollack e la bravura di due attori del calibro di Sean Penn e Nicole Kidman (quest’ultima molto più a suo agio nel ruolo di terzomondista impegnata e idealista che in quella di femme fatale che le hanno affibbiato ultimamente). Penn è una maschera di sofferenza e rabbia soffocata, capace di raccontare con uno sguardo a mezz’asta la disillusione di un uomo ad un bivio; la Kidman è bella come sempre ma anche misteriosa e affascinante. Un film da vedere, insomma, in cui niente è scontato (e mi fermo qui per non fare dello “spoiling” come si dice adesso), e la cura maniacale dei dettagli realizza un affresco che si dipana davanti a noi un po’ per volta lasciandoci, negli ultimi passaggi, un briciolo di sana incaxxatura, come ogni film che racconta una realtà scomoda dovrebbe fare.