È risaputo come nel cinema non ci siano tempi morti (tranne che in certi film francesi d’autore, ma questa è un’altra storia). Se un protagonista deve spostarsi da casa all’ufficio, lo vediamo uscire di casa, al limite prendere l’auto, poi nella scena dopo è con i colleghi.
Non ci interessa il tragitto e il parcheggio, anche perché altrimenti il film durerebbe una settimana. Li diamo per scontati. Anche in questo caso ci sono delle eccezioni: si pensi ai parcheggi esilaranti di Frank Drebin nella Pallottola Spuntata. Ma insomma, in generale i parcheggi non ci interessano.
Nelle fiction la questione è diversa. Lì i parcheggi diventano essenziali, per due motivi: alla produzione interessa spesso mettere in mostra le auto degli sponsor, e quindi una bella inquadratura della berlina del bello della situazione ci vuole. Ancora più frequentemente, poi, alla produzione interessa mettere in luce le bellezze architettoniche della regione che, attraverso qualche film commission, ha investito parte dei soldi dei contribuenti in quello sceneggiato.
Come coniugare allora l’esigenza di tagliare i tempi morti con quella della inquadratura per l’assessore al turismo? Semplice: il protagonista parcheggia sempre in posti bellissimi, dove non c’è mai nessuno – sennò dovrebbe fare manovra – e dove non esiste il divieto di sosta. Ecco allora Montalbano che accosta l’auto alla cattedrale di Noto, ecco l’autista di Mastrangelo che lascia tranquillamente la macchina in Piazza del Duomo a Lecce. Nella vita reale te la portano via dopo qualche minuto, nelle fiction si può. Si può anche nel cinema spazzatura: in "Sognando la California" dei Vanzina uno degli interpreti sgommava tranquillamente in Piazza Maggiore a Bologna, dove ti abbattono con i mitra anche se vai in monopattino.
Le fiction sono l’evoluzione della pubblicità, ce ne sono di belle e di brutte. Ma in ogni caso non c’entrano mai con la vita reale, dove parcheggiare è il tempo più morto di tutti.