Six, six, six, the number of the beast…
La canzone degli Iron Maiden cara a chi è come il sottoscritto è cresciuto negli anni ottanta mi serve per introdurre l’argomento: oggi è il 6-6-2006. Una data fantastica, per esempio, per lanciare un film horror come Omen, e magari per organizzare qualche festicciola in tema sullo stile lugubre alla Halloween.
Sono cattolico e quindi credo nel demonio, ma credo sia ben diverso, e molto più pericoloso, della macchietta legata a simboli e figure attraverso cui gli uomini l’hanno raffigurato nei secoli, forse per esorcizzarlo. Il demonio non è una bestia con le corna, è quella forza che spinge gli uomini a scannarsi per sete di poter o semplicemente, come direbbe Reagan, perché non sono disposti a negoziare il loro stile di vita lussuoso e sprecone. Il demonio, è vero, si manifesta talvolta in maniera violenta: ma più a casi legati a problemi psichici spacciati per indemoniati, basta aprire un giornale nella pagina di cronaca per leggere di stupri, violenze su minori, associazioni a delinquere di vario genere. Sono lì, i demoni, sono dentro di noi, perché ciò che è male viene dal cuore dell’uomo, purtroppo, e non da fuori.
E soprattutto non aspetta il 6-6-2006 per manifestarsi…
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W la mamma
Mentre i nostri ritmi, il nostro stile di vita, il nostro umore e anche la nostra salute sono fracassati da pianificazioni, progetti, scadenze (dead line, dicono gli inglesi, e in effetti qualcosa di mortale in tutto ciò c’è) c’è una campionessa dello sci, Isolde Kostner, che rinuncia ad un appuntamento fondamentale per un atleta come le Olimpiadi (per giunta da disputarsi in casa, a Torino) perché è incinta.
Ci sono una serie di appunti da fare, ovviamente: la Kostner due anni fa ha avuto un infortunio abbastanza grave che l’ha segnata (non si riesce più ad andare fortissimo quando si è persa l’incoscienza dei campioni). Non era in forma strepitosa anche prima dell’Olimpiade e forse non avrebbe raccolto granché. Il ritiro l’aveva già annunciato, solo l’ha anticipato.
Però, a costo di voler risultare forzatamente romantici, resta il fatto che questa donna ha saputo rinunciare a qualcosa per diventare mamma. Un bell’esempio e una boccata d’ossigeno per un argomento in cui da tempo si parla solo in termini di zigoti e provette.
Resta l’amara considerazione che una campionessa pluripremiata può tranquillamente mettere in secondo piano la carriera e ritirarsi per fare la mamma; ma quante donne (meglio sarebbe dire quante famiglie) oggi sono nella condizione di potersi permettere questa scelta?
Baccini, è meglio che canti. Lascia stare la Rai…
Al liceo mi insegnarono che la critica può porsi nei confronti dell’arte in modi diversi. Tra i principali approcci c’è quello crociano, secondo il quale l’arte è una monade senza porte né finestre, cioè un universo indipendente che non ha rapporti con la vita reale, per cui occorre immergersi nel testo trascurando il contesto; e quello storicista, secondo il quale invece è importante conoscere l’autore, la sua vita, il momento in cui scrisse le sue opere, tutto ciò che insomma sta intorno, prima e dopo il testo. Io ho sempre amato il primo approccio: mi immergo in una novella di Pirandello e non mi importa che sostenesse il fascismo e che la sua vita ebbe più ombre che luci; riascolto un riff dei Nirvana e trascuro gli eccessi e lo stile di vita distruttivo di Cobain che non condivido. Da una parte l’arte, insomma, dall’altra l’artista: se qualcuno vuole conoscerlo fa bene, ma ciò concerne più la storia, la sociologia, che la letteratura o la musica.
Mi è tornata in mente questa distinzione l’altra sera guardando in tivù Baccini nella Music Farmacia, quella specie di isola dei cantanti dimenticati. Infatti è stato uno di quesi casi in cui conoscere l’artista non ti fa apprezzare di più la sua arte. Anzi. A me Baccini anni fa piaceva e molto, ritrovavo in lui alcuni atteggiamenti ironici e intelligenti dell’irripetibile Rino Gaetano (penso a canzoni come Le donne di Modena o Sono stufo di vedere quelle facce alla tivù) ma anche melodie più intense e riflessive (tra le tante ricordo una dolorosa canzone dedicata a Curcio).
Che l’artista fosse in crisi era evidente, gli ultimi due album non li ho neanche sentiti e il terz’ultimo era bruttino, per non parlare di quell’orribile parrucchino con cui si mostra in giro da qualche anno. Adesso non posso nascondere la mia delusione, è vero che l’arte è una monade, ma se si apre una finestra casualmente facendo zapping e si scopre che l’artista fa scherzi stupidi, bestemmia e dà segni di squilibrio (se fa finta è ancora peggio), be’, un po’ di amaro in bocca resta.
Richiudete la finestra: non serve a vendere nuovi dischi, e fa passare la voglia di riascoltare quelli vecchi.