Benché il sudista trapianto al nord lo neghi con tutte le sue forze, ci sono molte prove empiriche che dimostrano come le mollezze dei popoli nebbiosi abbiano finito per influenzare profondamente la sua presunta tempra guerriera. E non mi riferisco certo al fatto che il sudista apprezzi tortellini e Lambrusco, circostanza più che condivisibile, né che con gli anni si sia abituato a giocare lascivamente a calcetto al coperto (e vorrei vedere, ci sono almeno dieci gradi in meno in inverno, e i grassi accumulati proteggono solo il ventre adiposo). La verità è che il sudista negli anni finisce per abituarsi ad alcune viziose comodità, ad alcuni inverecondi privilegi tanto da averne addirittura nostalgia quando torna nella terra madre, e la più importante è quella che definiremo il fattore venti.
I costumi licenziosi dei popoli della nebbia infatti hanno dotato le abitazioni di strumentazioni fonti di sperpero energetico che impediscono alla temperatura di allontanarsi dai venti gradi centigradi. In estate si tratta di condizionatori, apparsi solo da pochi anni nei paesi meridionali e comunque visti con diffidenza da chi da sempre è abituato a rinfrescare l’aria scatenando una corrente balcanica che si incrocia con uno scirocco africano tra il salotto e la camera da letto; in inverno si tratta di termosifoni. Questi ultimi esistono sì da decenni al sud (non sempre comunque, soprattutto nelle isole sono ancora tanti i produttori di impianti di riscaldamento accolti con un no grazie), ma, come dire, più che altro per fare arredamento. Per appoggiarci gli oggetti come mensole provvisorie, per stenderci il bucato, per appenderci l’accappatoio in bagno.
Va bene anche usarli di tanto in tanto, perché se non li accendi mai poi il motore si impigrisce, magari quando il figlioletto che vive vicino alle Alpi (non importa quanto vicino, sempre più vicino sta) torna a trascorrere qualche tempo nella casa natia. Ma senza esagerare, che in fondo quattordici o quindici gradi sono sufficienti ad evitare l’assideramento e in più mettono allegria con quell’arietta frizzante.
Il sudista ospite di parenti o amici dissimula le propria difficoltà di deambulazione, nasconde l’imbarazzo del triplo mutandone di lana, nega di aver usato il microonde per scaldare i calzini da notte, ma sotto sotto sente che quanto tornerà nel suo appartamento di venticinque metri calpestabili la prima cosa che farà portare al massimo la temperatura dei caloriferi spogliarsi saltando in mutande sul letto al grido di “Il metano ti dà una mano”
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Il clacson del sudista
Pur rappresentando una funzione di serie su tutti gli autoveicoli, la funzione del clacson varia decisamente a seconda della latitudine in cui questo utilissimo strumento viene utilizzato. Uno dei principali ostacoli per l’integrazione del sudista è proprio legata alla comprensione che questo importante strumento di comunicazione, nelle nebbiose regioni padane, non assolve a tanti usi per i quali invece è così popolare al mezzogiorno.
Per esempio, non si usa per salutare gli amici che camminano sui marciapiedi e che prontamente rispondono al saluto del tipico doppio colpetto di clacson. Difficile comprendere quale sia la ragione per cui i padani non approfittino di questa opportunità fornita loro dalla tecnologia, ma tant’è. Probabilmente nella nebbia non sono in grado di riconoscere gli amici. Per questo motivo non si può usare il clacson, con un colpo più lungo e deciso stavolta, per richiamare l’attenzione di un amico che non si vede da tanto tempo, e che dalla segnalazione comprenderà che l’auto sta per accostarsi per una chiacchierata lampo.
Non si usa il clacson nemmeno in coda; si sa infatti quanto i sudisti amino protestare contro il traffico, i lavori in corso, la crisi economica, la disoccupazione e quel cornuto dell’autista dell’autobus strombazzando allegramente e continuamente. Operazione di nessun costrutto, che non cambia le cose, ma il sudista a cui ciò sia fatto notare potrebbe rispondere, con il disincanto tipico di queste regioni: ecco, bravo, suonare il clacson non serve a niente, non cambia le cose. Perché votare forse cambia qualcosa? Perché i partiti di destra e sinistra che si sono susseguiti al governo hanno forse modificato in meglio la nostra situazione? Almeno suonare è divertente.
In compenso nelle fredde terre del nord si è diffusa l’abitudine di suonare nervosamente se l’auto che sta davanti non scatta prontamente al semaforo verde; atteggiamento incomprensibile per il sudista che lo trova anche un po’ maleducato visto che si sa che i semafori sono dei consigli, poi sta all’autista decidere se è il caso di seguirli no. Provate a partire a scheggia con il verde in certe soleggiate località meridionali senza aver prima controllato che non stia passando qualcuno con il rosso, e farete esperienza del più rapido dei cambi di corsia, ritrovandovi direttamente in un’altra affolata corsia, quella del nosocomio cittadino.
Santa Vale e San Michi
Il sudista al nord festeggia l’onomastico. I parenti lo chiamano al telefono, gli amici gli scrivono sui social. Si perché per il sudista il compleanno è una fredda evenienza aritmetica, un mero conteggio dello scorrere dei giorni. L’onomastico invece è la rappresentazione stessa della propria identità, l’idea che un santo in cielo ci preferisca ad altri perché portiamo alto il vessillo della sua progenie (e pazienza per Samantha e Libero, che come si suol dire non hanno santi in paradiso).
E questo santo va onorato.
In quest’ottica inevitabilmente il sudista non può tollerare il brutale storpiamento dei nomi di cui sono artefici i barbari abitanti padani. La Vale, il Michi, la Fede. A voi risulta esistere una santa Vale e un san Michi? Al limite ci può essere la fede santa, ma è un’altra cosa. Quando verrà il momento del giudizio, forse queste santità spenderanno una buona parola per chi ha così ignobilmente storpiato il loro nome? O non si volgeranno piuttosto altrove, imbarazzate alla sola idea che una parte essenziale del loro nome è stata cancellata, omessa, per risparmiare chissà che, due millesimi di secondo o un paio di caratteri sul messaggino?
Il sudista a dire il vero qualche ritocchino ai nomi lo fa. Ma in senso vocativo, e sempre limitandosi a elidere l’ultima sillaba. E accentando la penultima. Valenti’ vieni qu. Miche’ di nuovo? Federi’ non ci siamo capiti. La musicalità di quell’accento è staordinaria e più che storpiare il nome lo esalta, come una spezia che non copre i sapori. Perché è ovvio che lassù i nostri santi vengono chiamati così, “San Giuse’ vabbe’ che sei mio padre putativo ma ti ricordo che oggi comunque tocca a te sparecchiare”, “Santa Ceci’ non è ora di suonare che lo sai che mia madre – Santa donna – riposa a quest’ora”, “San France’ di nuovo co’sta storia te l’ho detto che non puoi andare in giro nudo, va bene la povertà ma non è con un paio di mutande addosso che ti arricchischi”. Perché non dimentichiamo che Lui è molto più sudista di noi. E infatti si chiama “Gesù”, con quell’accento così poetico che il Giampi non capirà mai.
PS Questo articolo segue di dieci anni un altro pezzo sullo stesso tema, “La Vale e il Giampi”.
Le cose però sono peggiorate, perché adesso ho due figlie a cui alcuni si ostinano a storpiare il nome, e che meritano i fulmini e le saette mie e delle rispettive sante.
La spuntatina
Arriva l’estate, un bel taglio ai capelli ci sta bene proprio bene.
Anticipa le ferie, alleggerisce i pensieri, poi magari c’è anche una sciampista dalle mani d’oro che quando ti lava i capelli ti fa sentire un pascià al centro dell’harem. Il sudista al nord tendenzialmente ha un elenco fornitori di servizi tutti ben saldamente radicati nella provincia di provenienza: il dentista, l’oculista, l’elettrauto, il barbiere. Non è un caso che la prima settimana di ferie venga sciupata in una serie di incastri tra questi professionisti, che vedono triplicati i loro impegni a ferragosto e a Natale complice il ritorno a casa dei sudisti emigrati. E però, con i capelli è diverso, il taglio serve in loco.
Certo qualcuno torna a casa con le sembianze di uno Shel Shapiro dopo un anno di reclusione in Nepal, però, effettivamente, pare eccessivo.
E così il sudista si decide a compiere il grande passo: tradirà il suo barbiere dopo ventennali frequentazioni, alla ricerca di un surrogato nella città di residenza padana. Il nostro eroe ha un’idea ben precisa di quello che cerca: un locale con divani comodi dove leggersi in santa pace riviste pruriginose con decolté in bella mostra senza troppi scrupoli di coscienza (c’era solo quella rivista, il quotidiano l’avevano già preso)! E per i più bigotti che non osano avventurarsi tra le pagine di “Cronaca Vera” c’è sempre il calendario frontale con la prosperosa subrette di turno, da apprezzare innamorati tra una sforbiciata e l’altra. Altro optional da non trascurare, vedi la nota sopra, una giovane assistente da cui farsi fare lo shampoo e meno sono i capelli meglio è, perché il massaggio è più intenso.
Le esperienze in Val Padana possono però rivelarsi drammatiche.
Il sudista può essere attratto da un mix di luci e colori di taluni negozi che espongono in strada schermi da cui apprezzare i maestri delle forbici all’opera, consigli per l’igiene personale, elenco variegato di balsami e unguenti. Tutto esposto, tranne il prezzo. Che il malcapitato scoprirà con un urlo soffocato solo dopo il terzo olio essenziale che gli spalmano in testa, dopo avergli tagliato i capelli di 0,5 cm, che tanto l’effetto finto spettinato è così cool. Dopo una tale esperienza c’è chi rinuncia, chi si affida a note catene di parrucchieri dove ad operare sono apprendisti. In questo caso il sudista risparmia eccome, però torna a casa con una cresta tipo Billy Idol nel periodo punk perché l’apprendista deve fare esperienza, oppure completamente rasato a zero, perché l’apprendista deve ancora imparare a prendere le misure.
C’è poi l’alternativa estremo orientale: prezzi ancora più modesti, risultati ancora più modesti, tant’è che il sudista comincia a pensare seriamente di tagliarsi i capelli da solo con risultati più dignitosi.
Quando il sudista sembra rassegnato ad una peluria incontrollabile, ecco l’apparizione, la luce in fondo al tunnel: il barbiere meridionale. I barbieri meridionali danno meno nell’occhio della concorrenza, ma appena entri e vedi il mezzobusto di Padre Pio o la riproduzione dei Bronzi di Riace capisci di essere tra i tuoi, anche perché non mancano né le riviste scollacciate né il calendario. Nessuna traccia purtroppo della sciampista: e caro mio, la finanza, i contributi, gli ispettori del lavoro, non me la posso permettere.
Maledetti conquistatori, pure la sciampista c’avete tolto. Pazienza, anche il barbiere sudista è bravo a fare lo schampoo. Basta chiudere gli occhi e sognare di essere a casa.
Le feste di compleanno dei bambini, ovvero del tramonto della cultura occidentale
I sociologi e gli economisti trascurano colpevolmente un elemento essenziale per capire la realtà contemporanea e analizzare le involuzioni del costume: i compleanni dei bambini. I compleanni dei bambini drenano quantità esorbitanti di risorse che se quantificate giustificherebbero i rallentamenti e i cali del PIL: si tratta infatti di spese allo stato puro e non di investimenti, come qualche analista superficiale vuol farci credere. Fateci caso, i bambini sono tanto meno numerosi quanto più frequenti sono le feste di compleanno: questo spiega la crescita zero dei nordisti, che a questo falò simbolico di quattrini sono affezionati, rispetto per esempio alle popolazioni al di là del Mediterraneo, che più che contare gli anni dei figli contano i figli una volta l’anno, per verificare che ci siano ancora tutti. Non solo: la nascita sempre più numerosa di bidonville alle periferie dei grandi centri urbani è facilmente identificabile nelle aree dove più a lungo e con maggiore virulenza si sono diffuse le feste di compleanno,che per fortuna attecchiscono meno in campagna e sulle montagne.
Vediamo di capire quali sono le manifestazioni più frequenti di questi disastrosi rendezvous.
La festa di compleanno vintage
La festa in questione cerca di ricreare le atmosfere di trent’anni fa che ho evocato in questo articolo. Festa in casa, con le pizzette e i popcorn sul tavolo, i bicchieri di plastica con il nome scritto con il pennarello, la mamma che cerca di organizzare un girotondo e musica dello Zecchino in sottosfondo. Tutto bene, dunque? Se per voi va bene ricomprare il televisore che i ragazzini hanno utilizzato per il tiro al bersaglio con le frecce, si. Ah già, non sono frecce, ma quel che resta della collezione di stilografiche. Se per voi non è un problema sostituire il lampadario al quale si è aggrappato uno degli ospiti gridando “Spaidermeeen” e se siete veloci quando si tratta di spegnere incendi (capiterà, fidatevi, capiterà), allora tutto bene. Ma come è evidente i risparmi sono una pia illusione per il semplice fatto che i bambini di trent’anni fa si sentivano audaci se sbirciavano nello sgabuzzino con le scope e i detersivi del genitore del festeggiato. Quelli di oggi i detersivi li usano per organizzare un veloce calcetto saponato e se li rimproverate vi rispondono che potete chiamare anche la polizia, se volete. Sanno bene che più di tre anni il giudice non glieli darà e con l’indulto è una passeggiata di salute.
La festa di compleanno selvaggia
Variabile della festa di compleanno vintage con cui l’accomunano i risultati (danni, querele, incidenti), questa festa si caratterizza per il fatto che i genitori dopo aver mollato i piccoli terroristi se la svignano alla chetichella, fingendo di non vedere lo sguardo impanicato della mamma del festeggiato. Tornano un paio d’ore a recuperare i figli, e dal loro punto di vista in fondo si tratta di una scelta sagace, visto che di solito tutti i bambini al loro rientro sono ancora vivi. Di solito.
La festa di compleanno in outsourcing
Volete la festa di compleanno? Volete sfogare i vostri istinti repressi, piccole scimmie, e dare una volta per tutte ragioni ai darwiniani? E sia. Vi affitto un capannone industriale che la furbizia del commmerciante ha riempito di gonfiabili, e porca miseria casa mia non la devastate. Soluzione ottimale (personalmente l’ho utilizzata più volte), se non fosse che il commerciante guadagna molto più adesso con quei sacconi gonfi d’aria di quanto non guadagnasse producendo serramenti per il mercato americano, e di ciò se ne accorgerà il vostro conto a fine festa.
La festa di compleanno in cloud
Come sopra, solo che porca miseria con quel che costano, conviene condividere le risorse hardware. Per cui festeggiate almeno tre o quattro bambini contemporaneamente, e se capita anche un battesimo e una festa di laurea per condividere le spese. Se l’Italia non è fallita nel 2011 è grazie a voi, patrioti, altro che Monti.
La festa di compleanno in famiglia
Perché invitare i compagni di classe, quando c’è il nonno disponibile con i suoi divertenti aneddoti sul dopo guerra? A che servono gli amichetti, se c’è lo zio che riesce a rimanere sveglio durante quasi tutta la festa e i cugini con cui giocare? Certo, da piccoli voi avevate quindici cugini. I vostri figli ne hanno due, per cui, se volete allevare dei piccoli Hannibal Lecter, fate pure. Ma sappiate che un giorno lo psichiatra scoprirà come il serial killer festeggiava i compleanni ed essere papà del serial killer potrà alquanto seccante.
La festa di compleanno psicotica
La psicosi in questo caso è della madre che deve avere avuto un’infanzia davvero difficile, un’adolescenza turbolenta e che tutt’ora deve fare una vita abbastanza di merxa se per sollevarsi il morale deve spendere per la festa di compleanno quanto il marito guadagna in un anno. A queste feste di compleanno, alle folli spese per il locale si aggiungono folli spese per i cibi (che non interessano affatto agli invitati, se non come oggetti contundenti o per improvvisare simpatiche pozzanghere di fango à la Peppa), e la follia numero 1 delle feste di compleanno per bambini: si fa un regalo a tutti gli invitati! Spesso sono gli stessi nordisti che per anni hanno festeggiato il proprio compleanno alle spese degli amici (si veda qui), che per i figli impazziscono e decidono di fare un regalino per ciascuno degli invitati. La spirale deviante di questo tipo di feste è evidente, perché poi anche le altre mamme psicotiche compreranno regalini per gli invitati, e magari li compreranno anche solo per una visita dagli amichetti o per un incontro al parco… E voi cpaite che gli ottanta euro di Renzi li spenderete in fazzoletti di carta piangendo solitari di fronte al vostro estratto conto. Altro ch pareggio di bilancio. Che abolisca le feste di compleanno dei piccoli, la Merkel, se vuole davvero tenerci in Europa.
La variabile x: gli animatori
Da quanto sin qui scritto pare chiaro che se c’è una cosa di cui i piccoli invitati non hanno bisogno è l’animazione, perché sono piuttosto animati già di loro. E invece no, anche questo ci siamo inventati. Un povero disgraziato slavo sui trampoli che cerca di evitare le piccole saette e tra un saltello e l’altro rimpiange di non aver seguito lo zio in Montenegro. Un mago che fa giochi di prestigio con le carte e deve stare attento perché a farle sparire sono i piccoli che gli ruotano attorno punzecchiandolo. Una signora di mezz’età che da una vita disegna farfalle sui visi delle bambine, opera come un’automa di un film di Fritz Lang se gli mettete un anguria in mano ricopre di farfalle anche quella. Due clown che gonfiano palloncini, e se all’inizio deliziano gli ospiti con margherite e spade spaziali, dopo due ore propongono palloncini grigi e sgonfi, e sfanculano gli impiastri che fanno notare il declino della loro produzione con graziosi “Se lo vuoi è questo, sennò togliti dai piedi, mostro” (e come dargli torto?). Come si diventa animatori di festedi compleanno per bambini? I soliti accadimenti: un trauma da cui non ci si riprende, la perdita del posto di lavoro, l’abbandono da parte di una persona cara, una profonda depressione. O diventi alcolizzato o, se ti va male, ti dai all’animazione.