Alcuni anni fa era di moda tra gli interisti mostrarsi tifosi superiori, un po’ snob forse, per la loro capacità di rimanere attaccati ad una squadra nonostante la scarsità di vittorie. Ora che vincono anche loro, l’unico tifoso che può a ragione fregiarsi del titolo di "Tifoso nonostante" è quello del Taranto.
Tifoso nonostante da quindici anni non si riesca ad andare in serie B. Tifoso nonostante da due ci si arrivi ad un passo: semifinali play-off l’anno scorso, finale quest’anno, e da favoriti anche. Tifoso nonostante certi altri tifosi, quei simpaticoni che ci hanno fatto perdere tre punti, e forse il campionato, durante la partita con la Massese persa a tavolino per gli scontri sugli spalti. Tifosi nonostante l’amore per questa squadra sia come quello per una bella donna antipatica e presuntuosa: dà solo sofferenze, frustrazioni e invita a domandarsi "ma perché continuo"?
Continuiamo a tifare Taranto, nonostante tutto.
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Dacci una rubrica, Milena
Con questo mio post non voglio neanche lontanamente mettere in discussione la venerante adorazione che nutro nei confronti di Milena Gabanelli e in quello che fa con Report.
I servizi sono fatti bene, sono avvincenti, hanno ritmo, la giuste dose di ironia, coraggio.
Riescono a mantenere ascolti validi in prima serata in un palinsesto televisivo caratterizzato da tonnellate di gnocca più o meno diffusa ed esibita e volgarità elevata a status quo.
Però, Milena, Milena.
Mia cara Milena, ti parlo da adorante ad adorata, lo sguardo mesto e il capo chino. Lo so che a Taranto l’abbiamo fatta grossa. L’hanno, visto che io ci torno solo in vacanza e poi a dire il vero sono della provincia. Il fallimento è stato eclatante, così come la disastrosa situazione ambientale, la follia di chi vuole il rigassificatore accanto alla raffineria e ai container sudcoreani, che se proprio uno sbaglia manovra pazienza, una provincia in meno, in Puglia ce ne sono altre 5, si allarga un po’ il golfo. Insomma, siamo messi male.
Ma visto che ci citi praticamente tutte le volte, e una volta per l’inquinamento, e una volta per l’assenteismo, e una volta per le finanze dissestate, perché non dedicarci una rubrica? Invece della buona notizia, la rubrica che tira un po’ sul il morale ai telespettatori potrebbe intitolarsi: Meno male che non stiamo a Taranto.
Che ne dici? Non sarebbe che il primo passo verso un vero e proprio spin-off, una trasmissione tutta dedicata a Taranto. Risparmieresti sull’inviato, che potrebbe risiedere nella città dei due mari. Ogni tanto cambialo però sennò si intossica.
Pensaci, Milena. Oppure dimenticaci. Ma quella citazione, un bo’ buttata là, a tradimento, quando si parla di sfighe, no, non farla più, non ce la meritiamo.
Siccità a Taranto
Da anni fanalino di coda di quasi tutte le classifiche stilate dai giornali (su economia, ambiente, benessere degli abitanti) la mia povera Taranto si conquista ancora una volta la scena dei telegiornali per un episodio che sembra appartenere ad altri tempi, altri spazi: manca l’acqua.
Io però ancora mi ricordo, da bambino, quando mia madre riempiva la vasca da bagno per le emergenze, perché sapeva che l’acqua sarebbe stata raziocinata. Facevano così tutti, e accumulavano sempre più acqua di quanto non servisse, con il risultato che anziché risparmiare si sprecava. Me lo ricordo quel rispetto quasi sacrale nei confronti dell’acqua (e ancora si beveva acqua del rubinetto, la follia dell’acqua in plastica non era ancora dilagata), mi ricordo i rimproveri quando lasciavo gocciolare il rubinetto o addirittura l’invito ad usare lo scarico solo quando necessario. Altri tempi? Temo di no. Quello non era il passato. Quello è il futuro. Dobbiamo ricominciare a rispettare la fonte della vita. Non dico di non farci la doccia, che mi sembra eccessivo. Ma almeno non facciamola scorrere quando ci facciamo la barba o ci laviamo i denti. E soprattutto consumiamo un po’ meno bibite gassate: servono quantità enormi di acqua per produrle.
E manco tolgono la sete…
Sabrina Ferilli ? una cozza
Ho letto recentemente su un giornale free-press che c’è chi ha definito Sabrina Ferilli una cozza.
Chi mi conosce sa che sono un ammiratore di lunga data della signora Ferilli (spero però torni presto al cinema, le fiction – a parte Montalbano – mi annoiano). E condivido pienamente questa definizione: Sabrina Ferilli è un cozza. Lo penso e lo ribadisco perché lo ritengo un complimento straordinario. Sarà che sono nato vicino a Taranto, sarà che in fondo all’anima rimango fondamentalmente un cozzaro, ma non capisco perché dare della cozza ad una signora debba assumere un valore spregiativo.
La cozza è slanciata ed elegante nella sua figura affusolata e nera (il nero è sempre chic), non punge, non graffia, racchiude un alone di mistero, non si offre facilmente, richiede di essere dischiusa con pazienza. Quando si apre, è vero, dona tutto il suo carico di piacere straordinario. Può essere presa cruda, senza troppe precauzioni, e allora si raggiungono vette di libidine indicibile, però si rischiano tre giorni di dolori e una milza gonfia come un’anguria se va bene. Oppure si può prendere cotta, lavorata, arricchita, trasformata: è buona lo stesso, meno appassionante ma garantita da una conoscenza più approfondita.
Cosa si può dire di meglio ad una donna se non suggerirle con ammirazione che è una cozza?