Una volta un mio amico per prendermi in giro mi disse che solo i televisori in casa mia non erano a marchio Coop.
La verità è che quello delle cooperative insieme a quello del commercio equo e solidale è l’unico marchio a cui sono davvero – come direbbero gli esperti – fidalizzato. E proprio in quest’ottica ho fatto un altro passo avanti, lasciando Vodafone per CoopVoce. Una cambiamento per me epocale perché erano dodici anni che mantenevo il gestore di telefonia in cui tutto ruota intorno a te.
Il motivo del cambiamento è, come sempre, economico: avevo uno di quei contratti in cui se chiami un utente non vodafone il tuo credito viene prosciugato come la pensione di un operaio alla slot machine. Cifre veramente incredibili, decine di euro per una ventina di minuti al telefono. In alcuni casi non posso escludere che sia stato questo ad allontanarmi da alcuni conoscenti dotati di cellulari Wind o Tim. Ma se una volta il numero di cellulare ti aiutava a indicare una persona, con la mobilità mi capitava di chiamare 347 o 349 convinto che fosse uno dei nostri, per poi trovarmi il cellulare esanime e sanguinante, privato di tutti i soldi dalla scheda.
E quindi adesso passo ad un servizio che per 9 centesimi al minuto mi fa parlare con tutti, niente fronzoli, niente cards, niente offerte speciali chiamatuttiituoicuginimasoloneigiornidisparideimesidi30giorni.
Anzi, se proprio dovessi dire cos’è stato di Vodafone che mi ha irritato per non dire offeso sono state certe pseduo-promozioni. Vuoi farmi un regalo? Dammi due euro di credito, e sono contento. Non regalarmi un servizio che a soli 5 euro mi permette di inviare un milione di sms al giorno a tutti miei amici nati a maggio con il nome che comincia per P. A caval donato non si guarda in bocca, ma se il cavallo scalcia, che se ne torni da dove è venuto.