C’è un metro attraverso il quale si può misurare non il valore artistico ma sicuramente l’importanza che ebbe tra i contemporanei un’opera d’arte rinascimentale, ed è quello di osservare quanto blu veniva usato.
Il blu oltremare era adoperato soprattutto per i vestiti della vergine e per ottenerlo erano necessari i lapislazzuli, non proprio economici. Per cui se l’artista ne usava molto voleva dire che il suo mecenate era facoltoso, e che credeva molto in lui.
Ho fatto questa riflessione pensando che qualcosa di analogo si può fare per il cinema. Certo, ci sono elementi ovviamente costosi come gli effetti speciali, le esplosioni, gli incendi o tutte quelle caratteristiche di certi film fracassoni. Anche le ricostruzioni storiche sono costose, e le scenografie maestose. Ma se osservate produzioni molto più alla mano e realizzate in economia come quelle delle fiction italiane, vi renderete conto che c’è un elemento che funziona da indicatore: il dolly. Il dolly è un carrello motorizzato in grado di sollevare la cinepresa.
Costa, il dolly, costa noleggiarlo se la troupe non ce l’ha a disposizione, costa usarlo perché occorrono elettricisti, tecnici, fotografi. Ecco perché non vedrete mai un dolly in "Un posto al sole" (che non ho mai visto ma credo lesini in generale di esterni come tutte le soap) e anche certe serie un po’ alla buona dedicate a carabinieri, finanzieri, poliziotti e compagnia bella posso farne un uso moderato. Se vi capita, fateci caso: il dolly viene usato tipicamente nei finali, con il protagonista che cammina lungo una strada e l’inquadratura che lo segue, con la cinepresa che si allontana e sale ingrandendo il campo.
Più il protagonista diventa piccolo, più la cinepresa è salita in alto, più è costata la scena.
Poi magari a voi piace "Un posto al sole" e del dolly non vi importa un fico secco: e c’avete ragione pure voi, de gustibus…