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Le domande retoriche delle donne

La retorica, a mio modo di vedere, è un’arte femminile. Se associamo a questa modalità di comunicazione i nomi di Cicerone o Shakespeare è solo perché in passato le donne avevano poche possibilità di esprimersi. Sempre poi che Cicerone fosse davvero un uomo (sul genere di Shakespeare sono state scritte biblioteche di volumi per cui lascio perdere).

Una donna non vi chiederà mai l’opinione su un suo nuovo capo d’abbigliamento. Sarebbe come chiedere ad un piromane che ne pensa dei giardini giapponesi. Una donna vuole solo una conferma della sua scelta. Se una donna esordisce con un “non voglio essere polemica”, è per anticiparvi che non solo ne ha una voglia matta, ma lo farà, sarà polemica eccome.

L’artificio retorico per eccellenza è però la domanda, appunto, retorica.
Una donna non si lamenta perché hai lavato male i piatti. Una donna dice: secondo i te i piatti sono puliti? Una donna non ti dà direttamente dell’imbecille perché non trovi le chiavi. Una donna ti dice: come mai fai sempre tanta fatica a ritrovare le tue cose?
E via discorrendo: lo chiami pulire il pavimento, quello? Perché lasci ovunque tracce del caffè che prepari? Quante volte ancora dovrò ripeterti di rimuovere il tappetino del bagno dopo la doccia?

Essendo domande retoriche, rispondere è inutile, perché con una domanda retorica una donna vi sta chiedendo: l’accendiamo? È la tua risposta definitiva? Dopo avervi dato del babbeo. Rispondere equivarrebbe ad un sottoscrivere una dichiarazione di incapacità di intendere e volere. Che le donne ricorderanno – ah, se la ricorderanno – e vi rinfacceranno fra una trentina d’anni.

Ora, a casa mia ci sono tre donne. Alla prima non posso obiettare molto, essendo lei Home Chief Executive Officer mi è gerarchicamente superiore. La seconda comincia però a farsi minacciosa: papà, ti sembra che io abbia i calzini? Papà, ti sembra che questo canale trasmetta cartoni? Papà, ho detto scalini, non scale. Tu li chiami scalini questi?

La terza, per fortuna, ancora non parla. Ma già i suoi sguardi interrogativi non promettono nulla di buono.

L’involuzione della specie

Mi è capitato di ascoltare una persona di una certa età del piccolo paese dove lavoro, Monzuno, dove come nella maggior parte delle località appenniniche e non in questi giorni sta nevicando moltissimo, tra le proteste del popolo dei “io pago le tasse” che passa la domenica pomeriggio a guardare le partite in tivù e domani griderà perché il Comune non gli spazzato il marciapiede sotto casa. A parte che ho l’impressione che chi di solito chi rivendica con aggressività di pagare le tasse spesso dimentica di pagarne una parte, , perché invece noialtri dipendenti preferiamo non evocarle nemmeno. Ma questa è un’altra storia.

Raccontava, dicevo, che quando era piccolo lui non c’erano certo gli spalaneve (in queste ore a Monzuno ne operano 14, tanto per dare un’idea, e costano almeno un centinaio di migliaia di euro alla collettività). C’erano alcuni agricoltori che avevano
dei trattori da adattare, erano due o tre al massimo: bisognava aspettare che smettesse di nevicare, affinché si predisponesse il trattore, e dopo un giorno o due quelli cominciavano a spalare. Eppure nessuno blaterava di tonnellate di sale da spargere (che distrugge le strade e a temperature sotto zero non serve, ricordiamolo) o peggio ancora di composti chimici inquinanti per sciogliere la neve.
Nessuno gridava che è uno scandalo, che è una vergogna, che così non si va avanti, impugnando il telecomando in una mano e la birra nell’altra.
Perché erano uomini, quelli lì, che si tiravano su le maniche e si davano da fare, e in mano avevano la vanga, e non lamacchina fotografica con cui andare in giro a fare foto da pubblicare su Facebook.  Erano uomini cui la guerra aveva insegnato a battersi in prima persona senza aspettare che qualcun altro lo faccia per te.
Erano uomini (e donne!) che si preoccupavano di come stessero i bambini, e non di trovare ossessivamente qualcuno a cui sbolognarli visto le scuole chiuse, erano uomini che rispettavano la Natura e i suoi cicli e non cercavano di stravolgerla per adattarla agli orari del loro aperitivo.
La strada vicino casa mia è piena di neve e in macchina non ci si muove, e io in questi giorni mi sto alzando poco dopo le cinque per andare al lavoro con i mezzi pubblici, facendo un paio di chilometri a piedi, e ci ho messo anche cinque ore per tornare a casa. Nel mio piccolo è il contributo che sto dando al rispetto della natura, il mio modo di sentirmi uomo, perché penso che sia meglio spendere i soldi pubblici per gli ospedali, gli asili e le biblioteche, piuttosto che per garantire il diritto a prendere la macchina in qualunque situazione. Quando sento le persone che arrivano in Comune per protestare perché c’è la neve sul cassonetto vicino casa loro, e nessuno glielo ripulisce, e loro pagano le tasse!, allora capisco che Darwin aveva ragione, ma non aveva previsto l’inversione del suo piano: siamo in piena involuzione.
I discendenti di quelli che protestano continueranno a protestare, ma avranno una clava, in mano, e non un cellulare con fotocamera.