La battuta più simpatica sul festival l’ho sentita oggi alla radio e l’ha fatta il comico e musicista Patrucco. Ma se quindici milioni di persone erano davanti alla televisione, e altri venti milioni erano sparsi sugli altri canali, se aggiungiamo i tre o quattro milioni che guardavano Sky, quelli che navigavano su Internet, quelli che sono andati al cinema, al teatro o a farsi una pizza con gli amici, quanti diavolo sono gli italiani?
Miracolo dell’Auditel, per una settimana, a febbraio, siamo più numerosi dei cinesi.
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Dalle 6 alle 8
Alcuni amici mi hanno chiesto quando trovo il tempo per scrivere, considerando il tempo passato in ufficio, un minimo di ore da dedicare al sonno e le funzioni vitali.
La risposta è semplice: la domenica, dalle sei alle otto. In pratica la scrittura ha riempito nella mia quotidianità il vuoto lasciato da Novantesimo Minuto. Sì perché quel clone indegno trasmesso dalle televisioni commerciali, con un gol e venti minuti di dibattito tra la velina e l’ospite fisso che commentano il prezzo del cartellino della nuova promessa uzbeka, proprio non si regge. E così, dalle sei alle otto, prendo il mio storico portatile del 97, e comincio a scrivere. Ovvio che non posso reggere il passo di Grisham e o King, con le loro 400 pagine all’anno. Io scrivo una pagina alla settimana, e mi ci vogliono tre o quattro anni per pubblicare qualcosa di decente.
Però non mi lamento, almeno fino a quando riuscirò a difendere le mie due ore la domenica pomeriggio, la mia carriera proseguirà nel suo lentissimo inesorabile corso di soddisfacente insuccesso.
Il lesso davanti
Il lesso davanti te lo ritrovi sempre quando hai fretta, quando piove, quando c’è traffico, insomma quando
tra te e il piacere della guida c’è un abisso più profondo del Gran Canyon. Il lesso invece non ha
fretta, barcolla tra un bordo e l’altro della carreggiata, se c’è una striscia a dividere le corsie
spesso la cavalca orgoglioso con il suo inconfondibile moto ondulatorio.
Non cerca parcheggio, il lesso,
è semmai alla ricerca di una sua più esistenziale collocazione nel mondo. Andare va, ma è come se ci
fosse solo lui e la strada, e pazienza se gli altri automobilisti per evitarlo, scansarlo o superarlo
devono compiere le fatidiche fatiche d’Ercole. Il lesso è contento così, lui il piacere di guidare lo
prova sempre, ondeggiando a venti allora, e lasciando che a cuocere a fuoco lento sia chi gli sta dietro.
Tanto lui è già lesso da un pezzo.
Fine di un amore
Mercoledì sera, sera, tornando a casa dalla palestra, ho acceso meccanicamente il televisore. C’erano gli ultimi scampoli di partita di Juventus – Inter. Vent’anni fa sarebbe stato per me un appuntamento imperdibile. Dieci anni fa avrei seguito distrattamente gli ultimi minuti di gioco. Ieri ho cambiato canale. Non so se sono finalmente diventato grande, oppure il calcio è stata una passione che si è assopita e spenta nel tempo. Non del tutto, perché guardo ancora il Taranto e la nazionale negli impegni più importanti: ma certo, poca cosa per uno che era capace di guardarsi il campionato sudamericano su Telemontecarlo.
Chissà, magari fra dieci anni mi piacerà l’opera lirica, e fra venti il balletto. Insomma non esageriamo adesso…
Bye bye Corea
Ci sono voluti quattro anni di silenzioso rancore, ma alla fine i simpatici amici sudcoreani hanno avuto ciò che si meritavano.
Hanno cioè amaramente scoperto – come spero in futuro accada a Juve, Milan e compagnia – che senza arbitri corrotti è difficile vincere se non si sa giocare a calcio. Nel 2002 la nazionale sudcoreana, spinta dal pubblico ma soprattutto dagli sponsor (ammetteremo che tra Samsung e Mivar non c’è gara) arrivò in maniera indegna in semifinale.
Noi ci ricordiamo ovviamente della sconfitta decretata dall’arbitro Moreno (non è questione di tifo: riguardando venti volte quella partita, venti volte ci si accorgerà di un arbitraggio scandaloso) ma anche contro la Spagna i sudcoreani vinserò insultando lo sport e le regole. Stavolta gli sponsor hanno potuto meno, certo sono sempre potenti ma comprarsi due mondiali sarebbe stata eccessivo.
E così la nazionale orientale torna a casa al primo turno, come fa da decenni e come continuerà a fare fino a quando non tornerà a comprare gli arbitri. Il sassolino nella scarpa ce lo siamo tenuti per quattro anni, ma adesso, cari sudcoreani, possiamo cortesemente sfilarcelo e passarvelo.
Vedete voi dove depositarlo.
Il fascino discreto del bancomat
Si guardano intorno con occhio guardingo, hanno letto di brutali assassini delle steppe caucasiche, rumeni clonati e
clonatori e scippatori napoletani in trasferta e non vogliono farsi cogliere impreparate. Sono le donne che si avvicinano al bancomat. Stanno poi attentissime a che qualcuno non osi superarle nella fila, pronte a scattare con il taglia fuori per l’avventato cliente che non si accorga di loro. Poi, arrivato il loro turno, qualcosa accade. Intanto, il riflesso del bancomat le getta nel panico, per cui si fermano, estraggono il necessario dalle borsetta e si danno una pettinata e una ritoccata al volo. Poi decidono di estrarre la carta. Sono in fila da venti minuti, ma la carta del bancomat a cercano solo adesso, e ovviamente prima di trovarla devono maneggiare fazzoletti di carta, chiavi di casa, ombrelli, chiavi dell’auto, assorbenti, chiavi dell’ufficio, caramelle, occhiali da sole e frontalino dell’autoradio (del fidanzato, che l’ha scordata lì). La trovano. E lì scoprono quante cose fantastiche si possono fare con il bancomat: caricare il cellulare, farsi stampare il saldo, l’estratto conto, gli ultimi movimenti. Si interessano, se presente, anche a Telethon e ai nuovi servizi in promozione, e se solo ci fosse una sedia su cui sedersi comodamente probabilmente passerebbero il pomeriggio davanti a quello schermo a fosfori verdi.
Peccato che dietro di loro c’è un uomo che dal bancomat vuole soldi, e non conferme emotive. Uomini, i solidi gretti materialisti…